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Io non ci rinuncio: ACCA, che carattere!

esamedistato

Ho parlato della lettera “k”, facendo riferimento al suo diffuso impiego nella pratica del textinge, analogamente, nella scrittura in chat.

L’ambiente non normativo della comunicazione privata via social network è all’origine certamente della diffusione dell’uso della “k” nella scrittura dei giovani.
Incentivano la permanenza di questa prassi il “risparmio” rispetto a “ch”, in termini economici finanziari (all’epoca degli sms a pagamento) e anche per le note difficoltà della scrittura su dispositivo con schermo touch.

Si comprende l’atteggiamento di stigmatizzazione dell’uso di “k” da parte degli insegnanti (e anche io lo sono): in tale veste essi hanno il ruolo, spesso scomodo, di controllo della lingua, orale e scritta.
Il maggior problema dell’insegnante non è essere contro la scrittura social, ma osservare come le forme non ortodosse, o non corrette, dilaghino senza misura nei testi standard (a scuola, appunto).

La distinzione dei repertori nella competenza individuale comporta, non soltanto oggi, la conoscenza delle prassi ortografiche idonee per ogni contesto.
Su Twitter, a volte la “k” è l’unica salvezza e se ne segnala ampiamente l’occorrenza in messaggi da account Twitter rilevanti (ma si dice il peccato…).

Sta certamente all’impegno della scuola la permanenza della lettera “h” nella scrittura dell’italiano in ambiente social.
Lì dove abbondano le “k”, è davvero rarissimo (il superlativo è forse riduttivo) rintracciare una forma di verbo “avere” senza la dovuta “h”.

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Duri e Puri: Kappa, Che carattere!

okkupato

Alla prime lezioni dei corsi di Linguistica generale conosciamo il “valore” della lettera “k”.
Simbolo dell’Alfabeto Fonetico Internazionale, “k” indica il fono consonantico noto come “occlusiva velare sorda”.

Prodotto della speculazione linguistica ottocentesca, l’Alfabeto Fonetico Internazionale (sigle: API/IPA) nasce, come è noto, con l’esplicito scopo di fornire un sistema di rappresentazione dei suoni delle lingue con statuto universale, ovvero tale che i simboli possano ineccepibilmente applicarsi alla pronuncia, indipendentemente dalle singole tradizioni alfabetiche normative.

Dopo la separazione storica della scrittura dalla lingua (orale), avvenuta di fatto a partire dalla standardizzazione grafica promossa con l’avvento dell’era della stampa, l’originaria corrispondenza tra lettera e suono osservata alla nascita della scrittura (literacy) è perduta, e mai più ricercata.

Alla scrittura standard non interessa la trascrizione della lingua (non interessa, diciamo così, la lingua).
E non importa quanto ampia sia la distanza, e quanta fatica costi apprendere le regole (le non-regole) di una scrittura poco fonetica.

Prova ne sia la storia dei regolari fallimenti di ogni proposta di riforma dello spelling per l’inglese, mentre è evidente la difficoltà riscontrata dal parlante inglese nel momento in cui, nella prima fase della scolarizzazione, questi viene a contatto con una scrittura che non ha nulla a che fare con la lingua che conosce e parla.

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Tor Vergata quiz

Oggi ho sostenuto due esami per i quali avevo studiato parecchio, e non ne ho superato neanche uno. 
Ma non è questo il problema. O meglio, non solo.

Non potrò sostenere questi due esami al secondo appello, perché il professore in questione (caso unico in tutto il corso di laurea) ha deciso di applicare la legge del salto d'appello. E va bene. Non me la prendo nemmeno per questo. Ne ha facoltà.

Me la prendo per il fatto che, se avessi superato uno dei due esami, allora sì che avrei avuto accesso al secondo appello.
Ma me la prendo perché, al suddetto secondo appello, avrei dovuto risostenere anche l'esame che avevo superato.
E me la prendo perché, se avessi preso 30 e Lode ad uno dei due esami, ma zero all'altro, avrei comunque dovuto risostenere entrambi

Me la prendo anche perché, in mancanza (ipotesi) di due ore di frequenza alle lezioni il docente impedisce agli studenti di fare l'esame. Tuttavia gli è sufficiente che, nell'anno accademico successivo, questi studenti recuperino queste due ore, che ne so, alla prima lezione, per essere a posto. Con la differenza che è passato un anno di università nel frattempo. Dunque NON è una questione di contenuti, non si tratta di completezza di informazioni e di nozioni che si otterrebbe seguendo almeno il 60% delle lezioni. Si tratta solo di pedanteria. 

Tutto questo nel silenzio di chi permette che tutto questo accada, e che questo gioco a quiz simile a un pre-serale di Mediaset vada in scena.
E non provate a prendervela con noi studenti, perché sapete tutti, perfettamente, cosa può succedere agli studenti che danno fastidio prima di aver fatto l'esame.
Anno domini 2013.
Succede a Tor Vergata.

 

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La malia della paidaimonia

Lo so. Manco da più di un mese – non so contare- e non so neanche più scrivere. Studio, mille esami da dare, da circa 6 NCFU (NonCiFaiUtili) ciascuno, sebbene il quantitativo sarebbe da 1000, ma va bene. Casi della vita. Ritorno a contare i fili d’erba per un tweet che ho letto poco fa.

Penso fosse una directioner, ma andiamo con ordine. Sono curioso, e ogni volta che apro Tweeter do un’occhiata ai trend. E devo dire che ogni singolo giorno almeno un paio riguardano qualche cantante che non superi i 20 anni. #Directionerperlabarbadimerlino #bilibersperlacannadibieber con tanto di automutilazione delle braccia. Siamo arrivati al sacrificio rituale perché il proprio dio rimanga tale. Tam religio…

Ma ma la summa theologica  risiede nella frase “sono la ragione delle nostre vite.” Non mi interessa criticare, prendere in giro o insultare questi ragazzi, sinceramente il punto è un altro.

Una volta si sarebbe detto che il cantante X ha un ruolo molto importante nella mia vita e che certamente con i suoi testi mi è stato molto vicino. O che ha avuto un ruolo importante per la mia cultura. Ma addirittura conferire lo stato di Dio-creatore di vita? E se i One-direction si sciogliessero, ad esempio? Cosa accadrebbe alla vita delle loro fan?

Non è il caso di paragonarli a Band come Queen o Beatles: nessuno può sapere se lasceranno un traccia indelebile nella storia della musica o meno. Ma il fatto stesso che l’idolo sia, guarda caso, poco più grande di loro ma che su di loro esercita il fascino del ragazzo maturo, non tanto da essere un padre, mi pone davanti alla seguente domanda: Amano l’ideale trasmesso o il corpo che le trasmette?

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L'uovo di Twitter (Che carattere!)

pulcino

In armonia con l’immagine dell’uccellino che è il logo di Twitter, appare appropriata e molto significativa la figura dell’uovo che il sistema rende disponibile all’apertura dell’account.

Scegliere la foto del profilo per i nostri account nei social media è effettivamente non facile.
Ho verificato che nel diario di Facebook è più frequente modificarla (insieme alla foto di sfondo): del resto il rapporto che si instaura tra i contatti è legato, come qui dicevamo, alla “familiarità” di qualche tipo, alla confidenza.
Ciò comporta rilassatezza rispetto al mezzo, così che negli status si scrive regolarmente ciò che ci viene in mente, a volte senza dare troppo peso alle espressioni.
E, rispetto all’immagine, è facile sceglierla in continuazione tra un repertorio personale, ma anche riprendendola da altri media (foto di film, attori, cantanti, fumetti).

L’ambiente più professionale di Twitter (che poi, standoci dentro, si trovano molti amici e dipende, come sepmre, dall’idea di “piedistallo” o “trampolino”) comporta tendenzialmente una maggiore stabilità nel tempo della foto del profilo: un po’, all’inizio, per affermarci, nel senso di renderci riconoscibili al pubblico che non ci conosce, un po’ per favorire, giornalmente, l’individuazione di noi nella pratica dello scrolling, col dito o con cursore (come emergere dall’anonimato; vale anche per la scelta del nome, su cui seguirà post).

Intanto che ci pensiamo, l’immagine dell’uovo ci accoglie, e con essa siamo accolti.

La figura è azzeccata perché riflette l’idea della nascita da mamma uccellino e il tipico bisogno di aiuto: come si scrive un tweet? come funziona l’hashtag? e la chiocciola? come si ritwitta? come si inoltra? aiuto!
Davvero è difficile saperlo del tutto finché non è “dentro”.

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Leggete fino in fondo! (ci siete voi…)

sono sveglia

Trovato via Giulia Sciannella (@muuffa) un commento di Nicola Di Turi (@nicoladituri) e via Lotar Sánchez (@LotarSan) il riferimento a un report del portale americano Slate svolto con Farhad Manjoo (@fmanjoo) e la società Chartbeat (che trafila!).
Si parla dei tempi di lettura dei testi nell’età di internet.
Citiamo alcuni passi dall’intervento di Manjoo, che è lungo 3 pagine, immagino volutamente (mentre sotto metterò i link):

“Sarò breve, perché non resterete qui a lungo. Ho già perso un bel po’ di lettori. Su 161 persone che sono finite su questo articolo, circa 61 (il 38 per cento) sono già andate via. Siete “rimbalzati”, come si dice in gergo, cioè non avete provato alcun interesse per questa pagina. [...]
… ehi, che fate? State già twittando questo articolo? Non lo avete neanche letto! Che succede se nelle prossime righe propongo qualcosa di tremendo, come un emendamento alla costituzione che ci obbliga ad aggiungere due spazi vuoti dopo ogni paragrafo?
Ehi, aspettate, anche voi ve ne state andando? Volete commentare? Ma andiamo! Non c’è ancora niente da dire. Non sono arrivato nemmeno al punto. Sarà meglio che lo faccia: su internet pochissime persone leggono gli articoli fino alla fine.”

Seguono dei significativi grafici, che evidenziano il repentino e passeggero andamento dell’attenzione, tra gli estremi della visualizzazione e della lettura, considerando l’operazione di scrolling o lo scorrimento nella pagina digitale.

Alle lezioni di “scritture brevi” si parla del problema della concentrazione e dell’attenzione nella lettura dei contenuti in ambiente digitale.

E’ provato che chi governa un flusso rilevante di messaggi di posta elettronica non raramente omette di rispondere all’eventuale seconda domanda.

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Attenti a quei due (neologismi per #scritturebrevi)

supermercato_

Partendo dal post sulla “stellina” in Twitter, andranno aggiunte alcune riflessioni sul lessico, per la graduale diffusione, nell’uso social, di nuove forme verbali collegate a tale figura.

Dal modello inglese to prefer deriva l’italiano “aggiungi ai preferiti”, una traduzione tramite parafrasi evidentemente condizionata dalla imperfetta corrispondenza semantica dell’equivalente“preferire”.

L’italiano “preferire un tweet” (“to prefer”) non ha lo stesso rendimento di “aggiungere un tweet ai preferiti”, dove la categoria dei Preferiti costituisce, come sappiamo, non solo idealmente, un contenitore, un cassetto dei tesori, o dei ricordi.

La relativa pesantezza della circonlocuzione può essere all’origine della rapida diffusione del neologismo “stellinare”.
Stridente per ora (lo è?), per il comune condizionamento percettivo esercitato dalle forme nuove, rafforzato in questo caso dalla diffidenza o ostilità per il trattamento della lingua nell’alveo social.
La mia esperienza è che basta usarlo poche volte per verificarne l’efficacia in termini formali e funzionali.
“Stellinare”, in tutte le forme coniugate, è comunque ampiamente attestato dentro e fuori da Twitter, sempre in ambienti social, sempre nei registri non formali.
“Questo me lo stellino”, “Stellinate!”, “Da stellinare!”, e così via.

Poche le occorrenze, ma comunque attestate, del “preferire” declinato. Ed ecco “Preferiscimi (un tweet)”, “Preferiscimelo”; ma il richiamo dell’italiano standard “preferire” attiva un confronto che accentua il carattere “scorretto” della forma e ne limita la diffusione e, presumibilmente, la fortuna, rispetto al più libero “stellinare”.

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Voi come “dite”? (note di vocabolario di #scritturebrevi)

Twitter_bird_logo

Dopo la notizia di ieri dell’inserimento del valore semantico social di tweet nell’Oxford English Dictionary, ho pensato di segnalare l’alternanza delle varianti tweet e twit in italiano.

L’interferenza linguistica (Roberto Gusmani), nel caso di twit parlerebbe di “prestito integrato”.

Possiamo segnalare che l’Accademia della Crusca nel 2007 cita contestualmente le forme “twit, più fedelmente tweet”.
Più recentemente nel Vocabolario della Treccani on line (2012) l’entrata è “tweet”.
La versione italiana di Wikipedia alla voce Twitter cita ed usa tweet col corsivo (“Twitter” è in tondo), il che ne suggerisce la percezione di parola straniera, un forestierismo.

Procederò alle verifiche sui dizionari.
Nel frattempo, per soffermarci sugli usi social, dirò che personalmente mi capita di alternare le due forme senza particolare motivo (potete verificare al mio account Twitter o nei vari post di questo blog).
Alternanze che ritrovo diffusamente negli utenti, segno che la regola, semmai ci fosse, non sarebbe ancora stabilizzata.
Si registra ancora la variante di stile italianizzato “tuit”, assimilabile alle rese “follouare”, usata come vezzo o come gioco, sempre occasionale.
Per i derivati “twittare” è solo con la “i”, che induce l’idea della vocale breve e giustifica il raddoppiamento di -t- per la formazione del verbo, ovviamente in -are. In tal caso la forma base sarà “Twitter”.
Per la derivazione con prefisso re-/ri-twittare e re-/ri-twittato si alternano negli usi, benché la fonte (Twitter) dia come ufficiale ritwittato (dove twitt-: verbo) e analogamente retweet (tweet: sostantivo).

Eppure una differenza c’è: su Twitter twit ha un carattere in meno di tweet, e si sa che su Twitter il “risparmio” può fare la qualità.

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Twitter dalla memoria corta (#iltwitterchevorrei e #tool: Che carattere!)

caterinavaincittà

La nascita di #scritturebrevi come hashtag su Twitter fa parte del progetto “scritture brevi nel mondo social, il mezzo e il fine”.
Il titolo è fittizio, improvvisato ora, mentre reale e concreta è l’idea di costituire una banca dati digitale di tweet, link, materiali online da registrare, conservare, consultare.
E’ quello che stiamo facendo dallo scorso dicembre, con la preziosa collaborazione di molti appassionati, diventati amici di #scritturebrevi.

La catalogazione è pratica e veloce con Twitter, ma lo stesso mezzo non ci sostiene quanto al momento della ricerca, conservando memoria, come si sa, soltanto di tweet “recenti”.
Del resto l’immagine del cinguettio è strettamente legata all’idea del messaggio evanescente, anche non rilevante, comunque soggetto a sparizione.

Vengono in soccorso a questo punto tool come topsy.com e tagboard.com.
Ecco i link della ricerca di #scritturebrevi con topsy e con tagboard.

Tornando all’evanescenza del mezzo, è vero il problema, già denunciato da Umberto Eco (“Non fate il funerale ai libri”), della difficoltà di leggere documenti salvati in versioni digitali su supporti elettronici presto obsoleti, rispetto alla permanenza dei materiali su carta di epoca antica, o antichissima.
Ogni strumento deve insegnarci qualcosa anche riguardo a se stesso.

Nel frattempo, per Topsy e Tagboard, voglio “fissare” questa occasione ringraziando Gilberto Taccari (@GilbertoTCC) e Claudia Zavaglini (@iltarlo), ai quali ho partecipato l’emozione dell’esperienza del motore di ricerca.
Per il principio della condivisione anche emozionale legata a #scritturebrevi so che mi capiranno.

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Ancora sulla grammatica di #scritturebrevi: #Corsari/#corsari

saussure

Il dibattito odierno (“un dibattere” rende meglio la posizione costruttiva di tutti gli interventi) sull’opzione maiuscolo/minuscolo per l’hashtag “corsari” è una bella immagine della natura della lingua e anche della rilevanza del punto di vista nell’osservazione dei fatti di lingua.

Vari elementi entrano in gioco nella scelta o preferenza:

- Osservare la lingua come un “dato” o come un “farsi”.
- Considerare lo stile come un “mezzo” o come un “fine”.
- Vedere lo strumento (in questo caso Twitter) come un luogo dell’espressione o come l’espressione esso stesso.
- Interpretare “adesione” e “creazione” come modalità distinte o interrelate.

Norma e uso sono i confini entro cui la lingua si muove.
Non ci sarebbe “lingua” senza la comunità.
Il segno linguistico è immutabile (peso della collettività, solidarietà col passato, relazioni interne tra i segni) e mutabile (per l’azione degli stessi fattori) – (Saussure)

#Corsari vs #corsari
Il “sistema” per una volta ci lascia liberi.
Useremo di più la maiuscola o la minuscola? Sarà interessante verificare.
Ogni apporto individuale costruirà la regola.

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