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L'amore aumentato

leavonfoto

Mi interessa la notizia, trovata su Focus, di una App LeaveOn che consente di scrivere messaggi virtuali in luoghi fisici con lo smartphone e naturalmente, viceversa, riceverne, tramite relativo dispositivo.

I messaggi sono chiamati “balloon” e si ispirano all’idea dei graffiti tradizionalmente lasciati dagli innamorati o dai turisti per suggellare il momento o il passaggio.

Le diverse gradazioni da pubblico a privato regolano la destinazione dell’invio a uno o a molti, ciò che determina la possibilità, per la App, di essere sfruttata non solo a scopi sentimentali, ma infine per la pubblicità.
Fondata sul principio della geolocalizzazione, LeaveOn lega la comunicazione al luogo fisico e reale, riducendo le distanze e inducendo il movimento (per leggere i messaggi per cui si è ricevuta notifica occorre andare ).
Per la comodità degli utenti, i messaggi saranno permanenti (per sempre).

Ideata da due imprenditori veronesi, Deny Cadorini e Luca Zivelonghi, questa App ha avuto il primo luogo di utilizzo alla casa di Giulietta, una collocazione suggestiva specialmente idonea all’immagine dei possibili utenti, giovani e perennemente “connessi”.
La passione per la scrittura della generazione digitale (vedi bacheche di Facebook) trova in questo esperimento di realtà aumentata un’occasione per l’uscita di casa, una differenza notevole rispetto alla condizione naturale di isolamento tipica dell’interazione via social network.

L’iniziativa si fa apprezzare per l’impatto sul mercato e anche sull’ambiente (scrivere sui muri, o sugli alberi, senza più deturpare: bello).
Noi la apprezziamo anche perché questo amore aumentato è Scritture Brevi.

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Io ballo da sola

ioballodasola

Chiunque abbia “frequentato” #scritturebrevi (come hashtag) dal principio (dicembre 2012), saprà che molto è cambiato.

Mentre all’inizio lo stream era composto soprattutto dai miei tweet e da quelli delle persone legate al blog (come @quilallina e poi anche @margherita_ri), è ora evidente come l’hashtag sia usato in modo molto ampio e vario.

Chi lo inserisce per segnalare un link, chi per commentare, glossare o taggare un tweet giudicatoin tema, chi per postare immagini e video, chi per donarci scrittura creativa, prosa e versi, nei 140 caratteri, chi per citare prosa e versi di altri.

Scorro la TL di #scritturebrevi con vera emozione, trovandoci amici consueti e anche nuovi, e non finisce per me la sorpresa di osservare tanta vitalità.
Molti, che ormai ci conoscono, compongono con l’intenzione di contribuire all’osservatorio di Scritture Brevi; molti non sanno nemmeno che un osservatorio “esiste”.
Questa varietà rende tutto più ricco e più bello.

Ogni tanto qualcuno chiede: “Cos’è #scritturebrevi?” (e da lì si fa presto a finire nel “Libro delle firme”).

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#laparolacheodio

divieto

Seguiamo il sondaggio di repubblica.it lanciato su Twitter con l’hashtag #laparolacheodio.
Dopo ventiquattro ore di tweet notiamo l’occorrenza, tra i termini “non graditi” (per i più vari motivi, si capisce, ed è davvero un interessante repertorio), di forme verbali più o meno nuove, declinate con desinenza italiana in -are (-ere ed -ire non sono in tal senso produttive).
Ed ecco comparire, in ordine sparso: attenzionare, efficientare, deliverare, downloadare, aploadare (sic),sharare, supportare, briffare, cambrettare, attenzionare, scannerizzare, effettuare, approcciare, svapare, deliberare, orizzontare.

All’origine del sondaggio un articolo sul ritorno “burocratese”, inteso nel senso delle espressioni linguistiche che non rispondono all’obbligo della chiarezza, oscurando i significati con l’effetto di confondere il cittadino.
La via contraria, quella del “parlare chiaro”, sembra sconfitta.

Risultano citate molte parole che non entrano nell’ambito del linguaggio burocratico, spaziando invece nei più vasti contesti della lingua dell’uso (ricorre, ad esempio, l’impareggiabile “piuttosto che”), e particolarmente colpita risulta una serie di termini di derivazione inglese, più che altro da un atteggiamento di ostilità rispetto all’ordinaria anglofilia.

Ma soprattutto, nella serie sopra riprodotta, una caratteristica “colpevole” sembra potersi rintracciare nella tendenza a creare forme verbali da sostantivi.
Molte saranno già incluse nei dizionari standard, di altre non possiamo prevedere il destino nella vita della lingua.

Io dico “Abbasso il burocratese!”, poiché conosciamo tutti, per averne sperimentato certi effetti, lo stile astruso rappresentato nell’articolo con la divertente e significativa immagine di “scrivere caffè senza mai chiamarlo caffè”, ma “altresì assumendo che il liquido in oggetto non sia da iniettare e tenendo conto che trattasi di connubio tra acqua e piccoli semi tropicali”.

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Di stella in stella (contaminazioni di #scritturebrevi)

Orsa Maggiore e Orsa Minore (1)

Uso Gmail per la posta elettronica ed oggi, nel corso di uno scambio di messaggi con Sergio De Rosa (@eucromia), ho “stellinato” le sue email.

Mettere la stellina lo faccio, abbastanza frequentemente, per catalogare certi messaggi come “speciali”, ovvero importanti, da ricordare, come era questo, contenente un link utile per #scritturebrevi (e di Sergio De Rosa apprezzo la speciale generosità intellettuale).

Finché, arrivati al secondo giro di email, ho di nuovo apposto la stellina al suo messaggio, stavolta con l’intenzione di “comunicargli” il mio ricevuto, e insieme “trasmettergli” un saluto e a un grazie.

Ed è lì che ho pensato: – che sciocca!, perché lui la mia stellina non può vederla, questa email stellinata resta solo per me.

Ho pensato che si tratta di una “contaminazione” da Twitter.
La linguistica chiama fenomeni di “interferenza” i casi in cui usiamo (anche involontariamente) un segno con un’accezione derivata da altro codice.
Perché la “stellina” appare uguale, ma diverso è il significato.

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Non è spam (ma che succede?)

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psicologo3

In concomitanza con la pubblicazione di un nuovo post nel blog www.scritturebrevi.it, alcuni miei contatti di Twitter (non sempre tutti) ricevono un twit di “notifica”, ovvero un invio al loro indirizzo del link al post.

E’ una prassi che ho inaugurato presto, avendo capito che occorreva un metodo per portare all’attenzione più o meno pubblica i contenuti del blog.

Non c’era un altro metodo che questo di spammare contenuti occupando gli spazi altrui?
Certo che ce n’erano di modi, ma non so quanto efficaci, o comunque non so quanto efficaci per me.
Ad esempio la notifica via mail è bella e pulita, ma raggiunge il gruppo degli iscritti e non ha la stessa potenza esponenziale del twit.
Inviare un twit “una volta e via” può piacere, ma è troppo pretenzioso per chi deve farsi conoscere.

Personalmente ho “scommesso” su Twitter, e dunque usarlo come canale (il mezzo e il fine) non è un ripiego, ma una scelta meditata.
Twitter è un grande trampolino e ne va della vita di #scritturebrevi (e si sa che io sono il mio hashtag).

Particolarmente fondamentale è stata questa strategia all’inizio, ma ancora oggi la ritengo valida, dal momento che nella cerchia sono nate occasioni di discussione variegata e di arricchimento per il laboratorio di #scritturebrevi.

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Click to tweet (o dell'ingranaggio)

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I click to Tweet funzionano? 
Questo articolo di Riccardo Esposito (My social Web, e @RiccardoE) mi fornisce l’occasione di riflettere sull’applicazione Click To Tweet pensata per Twitter con l’obiettivo di agevolare la pratica del retweet, in particolare a scopo pubblicitario.
Si tratta di creare dei link a piccole sezioni di un testo, in modo da trasformarle automaticamente, attraverso un semplice click, in dei tweet pronti da inviare, con tanto di fonte e riferimenti vari inclusi.

Si trova in questa modalità un esempio assai significativo del primato del principio dell’economia (risparmio) applicato alle Scritture Brevi, di cui ho già trattato qui.

Lo sforzo minimo è richiesto a noi utenti in questo circuito della comunicazione.
Il tweet è predisposto per l’invio, ciò che ci solleva dalle varie fatiche che il mezzo comporta: difficoltà a leggere l’intero intervento, specialmente se lungo; difficoltà a individuare le parti più interessanti; difficoltà a redigere un tweet significativo contenendosi nei 140 caratteri d’obbligo.

Soprattutto la funzionalità del click to tweet determina la coincidenza tra messaggio trasmesso e messaggio ricevuto, secondo il modello “postale” della comunicazione (Jakobson), lì dove più comunemente è nota la non convergenza tra le esecuzioni di partenza e di arrivo dovuta ai meccanismi dell’interazione tra uomini (ma anche poi tra l’uomo e la macchina).
In questo modo non vi è rischio di incomprensioni, errate interpretazioni, fraintendimenti, che determinerebbero il fallimento dello scopo comunicativo (oltre che del mezzo).
Per la nostra comodità siamo parte del grande meccanismo del marketing e non abbiamo di che lamentarci.

Sta ad esperti come Riccardo Esposito verificare se l’applicazione funzioni allo scopo (lo ha fatto anche qui). Per l’osservatorio di “Scritture Brevi” si tratta di verificare un nuovo eccellente esempio della efficienza del principio di Scritture Brevi digitali.
Un copia-incolla più raffinato, un luogo dell’automatismo dove soggetto e oggetto convergono ad uno stesso scopo.
Click to Tweet è un invito.
Accettare non costa nulla. O forse sì.

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Sto arrivando! (o del bicchiere mezzo pieno)

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Reduce da un pomeriggio trascorso “in movimento”, ora che mi siedo di nuovo (temporaneamente) a un pc fisso voglio ricordare questa giornata segnalando che, tra i molti automatismi garantiti dal sistema predittivo di scrittura del dispositivo mobile, il famigerato “Sto arrivando!” viene compitato non soltanto dalla digitazione di “sa”, ma anche dalla sequenza inversa “as”.

Occorre tenere conto di questi meccanismi nella considerazione dei riflessi negativi sulla lingua imputabili alla scrittura digitale (ne avevamo parlato qui).
Tuttavia, date le difficoltà di conciliare vita social e sociale per gli addicted digitali, che si possa scrivere “Sto arrivando!” con tanta facilità può essere a volte una fortuna.

Francesca Chiusaroli, Scritture Brevi
27 giugno 2013
(Immagine: Affresco egizio – c. 1794-1791 a.C. – raffigurante giocolieri. Fonte Wikipedia)

 
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Mi si nota di più... (o della geolocalizzazione)

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Particolarmente in tema col nome della nota rubrica #6gradi di corriere.it l’articolo di Olga Mascolo (@OlgaMascolo) su Hell is other people, un progetto di anti-social media basato su un sistema di geolocalizzazione che ha l’obiettivo di evitarci brutti incontri con “amici” sgraditi (sapendo dove, cambierò strada o mi terrò alla larga).

Mentre mi affretto ad usare le virgolette per la parola “amici” (ma è sotto gli occhi di tutti ed abbiamo già parlato della speciale accezione del termine) rifletto su come l’invadenza dell’interazione via social network manifesti qui la più piena espressione.
Nei famosi contesti di aggregazione comunitaria della rete (basti citare Facebook e Twitter) posso conoscere, incontrare, ritrovare; e viceversa, per il principio della reciprocità, posso farmi conoscere, farmi incontrare e farmi ritrovare.

Un’applicazione come Banjo, di cui Marta Serafini (@martaserafini) ha parlato più volte sempre su #6gradi, sfrutta lo stesso principio della geolocalizzazione per gli identici, ma opposti, motivi: trovare, attraverso la posizione dei contatti, occasioni comuni.

Gli algoritmi del motore di ricerca sono dunque al nostro servizio per aiutarci a incontrare e, semmai, a escludere.
E’ il paradosso del mondo social?
Pensiamo a questo: non abbiamo più scuse per non essere “dentro”.

Francesca Chiusaroli, Scritture Brevi
26 giugno 2013

 
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Tesina: la brevità che fa la differenza

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Spunto interessante per Scritture Brevi è offerto dall’articolo di Giuseppe Tesorio pubblicato nello Speciale Maturità di corriere.it.
Titolo: “Breve, efficace, esauriente: la tesina, come conquistare i prof in dieci minuti”.

Nell’orizzonte teorico di Scritture Brevi non sempre vi è un collegamento automatico tra brevità e velocità, ma il connubio appare imprescindibile nel caso dell’organizzazione della “tesina” per iniziare il colloquio dell’esame di stato.
L’ordinanza ministeriale non ne fa esplicita menzione, dicendo semplicemente che “il colloquio ha inizio con un argomento o con la presentazione di esperienze di ricerca e di progetto, anche in forma multimediale, scelti dal candidato”.
Ma è vero che l’enorme vantaggio pratico della esibizione dei materiali con funzione anche di scaletta ha fatto quasi dimenticare che non ci si trova di fronte a un obbligo; e comunque nessuno, potendo, per l’esposizione, fa a meno di un testo di supporto, specialmente seguendo l’attrattiva della dimensione “multimediale”.

L’autore dell’articolo richiama la necessità di un uso il più possibile personalizzato e creativo di questo strumento, mettendo in guardia dal rischio (reale) di costruire un prodotto stereotipato e superficiale. Nel commento di Tesorio:

“Diciamo la verità, ha perso un po’ il fascino della novità. Molti professori non la vogliono più, si accontentano di una scaletta, di una mappa concettuale, di niente, solo di un’intelligente disquisizione su un argomento «a piacere». Tesine, mappe, progetti, manufatti, comunque è un quarto d’ora in mano allo studente. Solitamente un «copia e incolla», file, immagini e testo frullati in una «web ricerca». Troppo facile? Il prof lo sa. Cosa conta davvero? L’originalità. Un prodotto elaborato personalmente lo si riconosce subito. Peso nella valutazione? Diciamo massimo cinque o sei punti sui trenta a disposizione. Colpire la commissione con gli «effetti speciali» (dal tablet alla videoproiezione), va bene. Ma bisogna assicurarsi che funzioni tutto come si deve (la tecnologia che si inceppa e non parte è una scena frustrante). [...]
Dopo aver scelto l’argomento, il lavoro vero e proprio consiste nel raccogliere i dati e i materiali. Ricercare fonti, letterarie, scientifiche, filosofiche, artistiche, curando in modo quasi maniacale i collegamenti argomentativi. Non bisogna preoccuparsi di essere esaustivi. Non si può dire tutto, bisogna soltanto «convincere» gli interlocutori sull’originalità della propria «tesi». Si può fare, basta non «incollare» file a caso, basta studiare l’argomento, basta metterci qualcosa di personale e creativo. Si può fare, anche senza molti effetti speciali”.

Conoscendo i rischi, sarà possibile sfruttare i vantaggi.

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Il bruco, la farfalla, il mondo

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“Quello che il bruco chiama la fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla”

La frase attribuita a Laozi esprime bene l’idea della piccolezza del singolo rispetto all’universo.
Che cosa capiamo, e quanto, dei cambiamenti che ci riguardano?

Ho pensato molte volte che fosse una buona frase per la lingua.
L’agire linguistico che è proprio dell’uomo (con l’unico termine logos il greco esprime l’idea della coincidenza tra il pensiero e il linguaggio) significativamente separa l’uomo dalla percezione del continuo divenire della lingua.
Non facile è renderci conto che la lingua cambia mentre la usiamo.
Ancora meno facile è valutare i cambiamenti.

Certamente i luoghi sono importanti.
La scuola, ad esempio, è impegnata a conservare.
Il maestro dell’Appendix Probi, nel medioevo, elencava le parole latine segnalandone gli errori grafici:
“Si dice (scrive) calida non calda, auctor non autor, auris non oricla”. 
E me lo immagino affannato a difendere una lingua che in bocca agli uomini non era più la stessa, fuori dell’aula, neppure per lui.
Mi immagino anche gli studenti a chiedersi “Perché scrivere au se si pronuncia o?” e “Perché due lettere invece di una”?

Per molto tempo, scrivere in lingua volgare lo si faceva per sbaglio, inconsapevolmente, oppure, all’inverso, per la speciale temerarietà del genio.
Dante intitolò Commedia la sua opera in volgare, riservando la lingua latina alla scrittura dei testi teorici e argomentativi.

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