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Essere (non) materialisti

Nella bellissima esperienza che sto vivendo qui in Cambogia, tra le tante scoperte quotidiane durante queste settimane mi sono dovuto scontrare con una realtà che nella mia vita non avevo mai incontrato: subire un furto. Mi spiego meglio: mi hanno rubato il motorino che avevo comprato (qui costano poche centinaia di dollari) per muovermi più facilmente nella capitale e per andare al lavoro. Quindi una cosa utile, quasi necessaria per una città come Phnom Penh. Erano andato a cenare in una specie di ristorante e avevo lasciato il motorino proprio davanti al locale per poi farmi una passeggiata tranquilla lungo il fiume Mekong. Tempo 30 minuti che il mio motorino non c'era più. Non sto scrivendo questo post per lamentarmi, anzi. Ne assolutamente per etichettare i cambogiani come ladri, tutt'altro. Sono cose che succedono in tutti i posti del mondo, sia al primo che al terzo mondo. Qui probabilmente l'hanno rubato perchè mi avranno visto "Barang" (è il termine con cui i cambogiani chiamano gli stranieri che vivono in Cambogia) ed essendo a breve il capodanno Cambogiano, hanno bisogno di soldi per fare i regali alla propria famiglia, tradizione del capodanno. Quindi hanno pensato bene di finanziare tali regali attraverso il mio utile motorino.

La sensazione che ho provato è difficile da descrivere. Rosicavo per il furto, per i soldi persi, per ritrovarmi senza mezzo per andare a lavoro ma soprattutto perchè mi resi conto che era la prima volta che subivo un furto. In tutta la mia vita non mi hanno mai derubato, ne subito un furto, non ho nemmeno mai perso le chiavi di casa o il cellulare. Solo una volta mentre ero all'ultimo piano dell'Empire State Building per ammirare la vista di New York di notte, mi accorsi di aver perso il mio portafoglio e convinto che me lo avessero rubato andai subito dalla sicurezza dell'Empire e dopo 15 minuti di attesa me lo ritrovarono dicendomi che qualcuno lo aveva trovato per terra sulla terrazza. Inaspettatamente c'erano ancora tutti i soldi e carte di credito. Dopo quella botta di gran fortuna ero sempre più convinto che ero "predestinato" a salvarmi dai furti.
Ed ecco che a distanza di un po' di anni mi sono ritrovato a pensare che è brutto subire un furto ma soprattutto mi sono sentito materialista. Troppo. Come se quel motorino non potesse appartenere a nessun altro che a me e che fosse un oltraggio avermelo rubato. Ma dopo una sola notte con questi pensieri "materialistici" uscendo di casa per andare a lavoro (pagando un motodriver) e muovendomi per la periferia di Phnom Penh dove si può vedere e capire la povertà, mi sono odiato per i pensieri notturni e ho capito che al giorno d'oggi essere materialista è più che altro una "malattia" di noi occidentali, legati al consumismo e al possedere cose. Facendo questi pensieri ho ripensato al bellissimo film Fight Club che trasmette anche questo tipo di messaggio.
E proprio attraversando la città che ho sorriso al mondo, a me stesso, agli altri (come sanno fare benissimo i cambogiani), ho messo subito da parte i miei pensieri materialistici, ho dimenticato il "rosicamento" e mi sono messo a pensare al lato positivo di questo furto: ai bambini poveri della periferia felici e sorridenti al ricevere il loro semplicissimo regalo di capodanno che desideravano tanto, comprato dal loro papà, grazie alla vendita del mio motorino.
Forse non sarà andata veramente così ma mi piace credere a questa storia.
Grazie ancora Cambogia. Anche quando subisco un furto, indirettamente mi regala un insegnamento di vita.
 
Addio Isaia il materialista.
Addio mio caro motorino.
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Pamela De Ioris
Ma come diavolo fai a vedere il lato positivo di ogni cosa?? A volte vorrei essere te.... Leggi tutto
Venerdì, 19 Aprile 2013 10:22
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Only a smile

Sono pochi giorni che mi trovo a Phnom Penh, la capitale della Cambogia e girando per la città posso già riflettere su vari aspetti della vita cambogiana che mi hanno colpito. E' difficile descrivere il tutto in un post, dovreste venire qui per capirlo. Qui tra un caldo torrido di 40 gradi, un ricco cambogiano corrotto che va in giro col suo SUV, una povera donna che chiede l'elemosina al mercato, una bella prostituta del locale che ti si butta addosso manco fossi Brad Pitt, un ragazzo che ti chiede se ti serve un passaggio in motorino per meno di un dollaro, la vita cambogiana va avanti con un incredibile equilibrio nonostante la povertà, le disuguaglianze.Tutto continua come se la miseria non esistesse o comunque se non fosse un male, come se facesse parte della loro vita. Non posso descrivervi la Cambogia dopo solo tre giorni, non voglio ne posso permettermelo, peccherei di arroganza ma quello che più mi ha colpito di questo paese è il sorriso dei cambogiani. Tutti i cambogiani ti sorridono: il ricco, il poliziotto, il mendicante, la signora che cucina per strada, il guidatore del tuk tuk, la vecchia senza denti, la bambina che dorme su un cartone per strada. Tutti i cambogiani soprattutto quelli che non hanno nulla ti fanno il loro regalo più grande: il loro sorriso. Un sorriso bello, vero, profondo, contagioso che se già domani tornassi domani sarebbe il ricordo più bello e vero della Cambogia.

E quindi mi fermo e mi domando: ma noi italiani quante volte sorridiamo? Non ci si può discutere dietro le "scuse" della crisi, l'economia, i soldi, i pensieri perchè la prima risposta sarebbe: i cambogiani che dovrebbero fare allora? Piangere tutto il tempo?
Sorridiamo di più durante la nostra giornata, al lavoro, all'università, nel traffico. Sembriamo sempre arrabbiati con tutti e contro il mondo ma gli altri che ci hanno fatto? Nulla! Ma se una persona mangia vicino a noi nemmeno un sorriso mentre qui in Cambogia puoi mangiare insieme a sconosciuti e un sorriso non è negato a nessuno, nessuno ripeto. Quante volte mi sono ritrovato all'università con gente che magari conosci o ci hai parlato ma poi quando ti rivede non ti degna nemmeno di un saluto. Io ho sempre mandato un sorriso, gratuito e semplice, a volte senza essere ricambiato. Non lo dico con rancore, anzi. Ma vivendo qui penso che un sorriso in più possa solo fare bene e ci faccia dimenticare per un semplice secondo i nostri problemi (quali problemi rispetto alla miseria che a volte, non sempre, vedo qui).
Iniziamo a farlo tutti: nella nostra quotidianità, con gli sconosciuti, in mezzo al traffico. Non costa nulla. Provateci.
E se proprio non ci riuscite, venite qui in Cambogia e cambierete subito idea. 
Parola di un sorridente convinto.
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Racconti dell'orrore - Il triste occhio

Sono qui, ubriaco come al solito e come al solito, sempre nello stesso luogo. Cammino per queste luride stradine, vicoli senza fine di un quartiere di borgata, con la mia fedele compagna per le mani, sempre pronta a sorridermi diabolicamente. Che baci strazianti che mi dà, così dolci, così pieni di veleno; mi ucciderà lo so…ma non posso farne a meno. Mentre giro mi appoggio un po’ su una panchina, sporca, logora, marcia, come il resto di questo schifo di città. Il cielo è ancora scuro, ma qualche fiotto di luce rosata, ruscellante all’orizzonte, comincia ad apparire; dei gabbiani volando sopra la mia testa e il vento profumando l’aria,  un nuovo giorno: che senso di libertà e speranza! Ma la notte non è ancora finita del tutto, c’è ancora tempo, tempo per peccare, per mentire,  per vendersi l’anima, per commettere un ultimo omicidio! La redenzione può aspettare…

Afferro la mia compagna e la strangolo, la strangolo fino a strozzarla, fino a farmi dolere le mani, fino a soffocarmi col suo menzognero bacio…me ne vado, lasciando il suo corpo svuotato sul marciapiede della strada.

Con lo sguardo,  fisso verso il vuoto, cammino con un andatura piuttosto veloce, sicuro di me, sicuro di quello che sto per fare, ho appena ucciso me stesso, uccidere lei non avrebbe lo stesso effetto ma  una soddisfazione decisamente  più appagante. Non ho mai avuto il coraggio di baciarla, di guardarla di sfiorarla, mai avuto un senso di superbia di fronte a lei, ma solo un angosciosa sofferenza, non l’avrei mai posseduta. Ma questa notte sapevo che era una notte diversa, questa notte io non mi sarei accontentato del solo corpo, oh no, sarebbe troppo poco per me! Io avrei preteso la sua anima, soffrirà dieci volte quello che ho sofferto io, lo giuro, chiamo a testimone Dio e i suoi discepoli, che possano bruciare all’inferno! Lucifero è l’unico che mi può capire, in fondo anche lui amò di un amore passionale, di un amore folle e per quell’amore che Dio gli negò, immolò le anime degli angeli più belli del cerchio celeste, una guerra terribile e sanguigna, tutto al solo scopo di abbeverare con la vendetta la propria anima.

Giungo finalmente sulla soglia, l’altare del mio sacrificio, busso, mi vede, mi fa entrare. Ah che errore! Fidarsi così di qualcuno che non si conosce fino in fondo alla propria anima! Meglio, ne trarrò profitto…

Mi fa accomodare nella sua stanza, povera schiocca arrogante, sembra quasi una bambina. Una dolce bambina indifesa di fronte al suo boia, al sua carnefice, non vedo l’ora di vederla supplicare in ginocchio.

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…avete ricevuto un invito? RSVP!

RSVP

Abitare in Francia* ‘da straniera’ ti fa osservare con un occhio più analitico molte sfumature linguistiche che i nostri cugini transalpini (lo dicono tutti e, per una volta, voglio dirlo anch’io!) danno per scontato. Sono a stretto contatto con i francesi ogni giorno (perché sì, per quanto possibile sto evitando come la peste ogni contatto con i miei connazionali per immergermi il più possibile nell’ambiente linguistico francofono – se no cosa sono venuta a fare?!) e mi accorgo che, ovviamente, parlano la loro lingua materna in un modo connaturato (come noi l’italiano del resto) e non si pongono molte domande che uno straniero si pone (o almeno potrebbe porsi – insomma, io me le pongo).

I francesi sono abbastanza fissati/ossessionati con le sigle e gli acronimi (e i miei studenti a scuola mi hanno fatto notare che lo siamo anche noi, nonostante mi sembri che vincano loro su questo punto) e ne ho già dato un primo esempio qui scegliendo un tema ‘gggiòòvane’. Ora preferisco tornare al ‘classico’ e intramontabile RSVP.

Visualizzate la scena: Siete a casa, in un pomeriggio primaverile in cui le condizioni metereologiche fanno pensare a tutto fuorché alla primavera (fin qui è tutto vero, non vedo un termometro che segna temperature sopra ai 10°C da almeno 20 giorni…!). Vi rilassate sul divano con una bella tazza di tè (anche fin qui è tutto vero – sono dispiaciuta per i non amanti del tè ma io sono una grande bevitrice… di tè!) e un buon libro (in francese in questo caso – su, fate uno sforzo!).
[Disclaimer!Da qui comincia la parte inventata tipo film!] Improvvisamente suonano alla porta ed è il fiorista che vi sommerge con un immenso bouquet (lo so, avrei potuto scrivere ‘mazzo’ ma, situandosi la scena in Francia, utilizziamo la lingua locale) di fiori (presumibilmente da un ammiratore segreto – sapete come sono le donne in questi casi!). Ebbene sì, non è il vostro compleanno, né il vostro onomastico, né un’altra ricorrenza particolare. Quindi… [calma e sangue freddo] notate che il bouquet in questione è accompagnato da un biglietto sul quale è scritto il vostro nome a caratteri dorati, in rilievo (ok, sto esagerando). Aprite il biglietto (avrei voluto scrivere “con mani tremanti” ma nove parole fa avevo detto che l’avrei smessa e poi farebbe troppo romanzo dell’800 – abbandonereste tutti la lettura del mio post… e poi cavolo, siamo nel 2013 e stiamo parlando di scritturebrevi, vogliamo scrollarci di dosso la polvere dei secoli!?) e trovate un messaggio (in francese ma noi, per comodità, lo tradurremo):
“Ti ho vista alla fermata del tram (avevamo detto di tornare con i piedi per terra nel 2013, no?) e vorrei invitarti a cena la prossima settimana. Spero accetterai. RVSP
Tralasciando i dettagli di come l’ammiratore sconosciuto in questione abbia reperito il vostro indirizzo (senza denunciarlo per stalking) e di come voi effettivamente farete a rispondere all’invito a cena (forse nel biglietto vi ha lasciato un numero di telefono, un indirizzo email… un account Twitter!? Ok, si vede che come scrittrice di romanzi rosa faccio acqua da tutte le parti!), concentriamoci sull’acronimo: RSVP.

Potrei quasi scommettere che ci sarebbe una percentuale, seppur marginale, di francesi (e non solo - ma noi siamo in Francia, ricordate) che forse non saprebbe cosa significhi per esteso perché sono persone che scrivono spesso RSVP ‘per inerzia’, perché lo hanno sempre scritto alla fine di un invito, di una richiesta… Sta di fatto che ‘sti francesi lo scrivono ovunque, per qualsiasi avvenimento, su qualsiasi supporto più o meno tecnologico (lettera, post-it, sms, email, messaggio sulla bacheca di Facebook, tweet…): invito a colazione/brunch/pranzo/merenda/spuntino/cena, invito a matrimonio/comunione/cresima/battesimo, invito ad una festa di compleanno/festa di inaugurazione di una nuova casa (si chiama fête crémaillère ed è molto alla moda!), invito a teatro/cinema/Opéra (da leggere con l’accento sulla ‘a’!), invito all’inaugurazione di una mostra/un evento.

Quindi, la morale della storia è che i francesi ci tengono molto al loro RSVP quindi, anche se ricevete un sms nel bel mezzo dell’ora di punta sulla metropolitana di Parigi all’incrocio di quattro linee e di due RER e non avete assolutamente voglia di tornare a casa, prepararvi in fretta e furia per riuscire super eleganti dopo una stancante giornata di lavoro… Répondez, s’il vous plaît”!

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Ci sono notti che non passano mai.

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Pasqua, Pasquetta e altri dettagli

Salve a tutti gli studenti belli e bellissimi, e anche ai prof. Mi scuso dell'assenza dalle disumanae litterae, ma sono stato rapito da dei bioterroristi di nazionalità svervegese verso i quali ho sviluppato la sindrome di stoccolma e alla fine sono diventato così appiccicoso che pur di scappare da me si sono ordinati sacerdoti ortodossi e sono fuggiti in un monastero sul monte Olimpo ( se non mi credete controllate, esiste davvero un monastero sul monte Olimpo).

Che dire, durante la mia assenza Habemus papam, non habemus ancora governo, e io un questo trantran di sicuro habemus cefaleam (plurale maiestatis, oh yeah). Ma finalmente i cristiani adesso hanno un papa di cui vantarsi, per lo meno sta facendo una serie di cose che, per un'istituzione così colossale e radicata come la chiesa, di certo rappresentano delle scosse non da poco. E'anche vero che la chiesa scricchiola da un paio di secoli però in fondo è grazie al loro capo che atei, agnostici, ebrei, induisti, buddisti, islamici e pagani  lunedì non andranno a lavoro. Almeno in Italia.

E veniamo al sodo. Stamane sono andato a fare la spesa. E ho visto che vendevano, al bancone del pane, tra il cibo degli dèi (cfr lingue di gatto e affini), le uova di pasqua già spezzate e confezionate. Allora, seriamente, davvero? Ma vuoi mettere il piacere di aprire, rompere con il classico colpo da karateka provetto l'uovo, creando ogni volta un'esplosione di pezzetti di cioccolato che finiscono ovunque tranne che sulla tavola? E le sorprese? Io una volta rimasi scioccato nel leggere sul retro dei colori trovati nell'uomo la scritta "made in italy",avevo forse 10 anni e la cosa mi creò profondo turbamento, tant'è che gli effetti di tale choc si sentono ancora oggi. Le sorprese made in china dentro l'uovo per me sono un must, come pane e mortazza, pane e nutella, pane e salame tirato dalla coda del cane. Insomma non si è mai troppo adulti per prendere l'uovo così com'è. Quindi ho snobbato altamente quelle confezioni, e mi sono catapultato verso l'essenza pasquale per tutti i bambini e non.

Bene, con l'occasione vi faccio gli auguri di Buona Pasqua e Pasquetta, che è ancora più importante della prima perché ci si può riprendere dall'abbuffata domenicale, o, per i più temerari, fare il bis. Un saluto affettuoso a chi mi legge, nella speranza che non vi abbia annoiato :)

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Volevo scrivere un altro post


Volevo scrivere un altro post.

Stamattina alle 12 ho chiamato la mia paziente relatrice per mettere a punto le ultime cose prima della discussione della mia tesi che si terrà tra pochi giorni.
E' inutile sottolineare lo stato d'ansia in cui io mi trovo in questi giorni.
Ok che la tesi l'ho scritta io e saprò di che parla, ok che in Italia la discussione è quasi una formalità, ok che comunque mi presento con una buona media...sì, ok.
So' agitata lo stesso, embè?

Dicevamo, si chiacchiera sulla presentazione, come introdurre l'argomento, con cosa proseguire, ma parto in italiano o in spagnolo, eh meglio in italiano che poi la commissione sennò non la segue, anzi no, meglio in spagnolo così poi la parte centrale la discutiamo in italiano...tanto poi la domanda in lingua gliela fa la correlatrice. Ha parlato con lei, vero?

Sorvolerò sul pantheon di divinità che ho bestemmiato, sorvolerò sull'apologia di me stessa e sul perché ero abbastanza legittimata a non aver parlato con la correlatrice e proseguirò, altrimenti scrivo un terzo post ancora.
Morale della favola, devo portare una copia della mia tesi alla correlatrice entro le 16 di oggi pomeriggio.

Esco di casa tutta trafelata e, interrogandomi circa a quale dio avevo mancato di sacrificare vergini e bambini questo mese, mi dirigo verso la copisteria dove ho fatto stampare e rilegare la mia tesi.
E' sabato. E' sabato, capite?
Sabato.
Quel giorno in cui alcuni esercizi sono chiusi perché è il weekend, no?
Ecco, quel giorno lì. Sabato.

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Magda Savastano
Grand bel post, complimenti! Di quelli che ti lasciano un sorriso amaro, un sorriso per l'ilarità con cui hai scritto, e l'amarezz... Leggi tutto
Sabato, 23 Marzo 2013 19:55
Enrica Antonini
Grazie mille Magda... Menomale che sono una che prende le cose con filosofia! ... Leggi tutto
Sabato, 23 Marzo 2013 20:24
Francesca Chiusaroli
Povera relatrice che sabati mattina... :-). #importanzadelpuntodivista e in bocca al lupo cara!! ... Leggi tutto
Sabato, 23 Marzo 2013 20:08
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Diritto di cittadinanza: un "punto" che scotta

Diritto di cittadinanza: un "punto" che scotta

Il tema della cittadinanza agli immigrati è stato uno dei più dibattuti in campagna elettorale: il PD, attualmente titolare della maggioranza assoluta in una delle due Camere, non ha mai fatto mistero di voler optare per un riconoscimento della cittadinanza italiana a chiunque fosse nato nel territorio della Repubblica.

L'attuale legge in vigore, infatti, riconosce la cittadinanza fin dalla nascita a chi discende da cittadini italiani (ius sanguinis) e permette l'acquisizione della cittadinanza agli stranieri nati e cresciuti in Italia subito dopo la maggiore età, previa richiesta dell'interessato.

Fatto questo breve quadro, si può capire chiaramente quanto potenziale attrito possa genere una tematica del genere, per di più riconfermata centrale nel progetto politico del PD con la sua inclusione all'interno dei famigerati 8 punti.

Inoltre, per dovere di completezza, va anche segnalato come le proposte del centrosinistra vadano a comprendere anche una semplificazione delle procedure di rilascio del diritto di cittadinanza per gli immigrati in genere, a prescindere dal loro luogo di nascita e dalla loro pregressa cittadinanza.

Sarebbe utile capire come si possa solo pensare di poter imporre questo punto programmatico alla luce dell'attuale situazione politica, che vede proprio il PD ostaggio di due partiti come PDL e M5S dichiaratamente contro lo ius soli.

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Enrica Antonini
Io sono assolutamente per lo ius soli. Quantomeno in via di principio, in quanto non vedo cosa debba impedire, a una persona nata ... Leggi tutto
Sabato, 23 Marzo 2013 17:31
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Vie de jeune prof #3

Sorridente

Cari lettori di TorBloggata,

Siamo soltanto a martedì ma ho già due episodi da raccontare. Il primo è più simpatico (se non ci si lascia abbattere dall'interesse assente per l'argomento della lezione), il secondo "fa bene all'anima"...

Ieri, lunedì 18 marzo:

Avevo previsto di analizzare alcuni spot pubblicitari (le immagini, lo scopo, gli slogan, la colonna sonora). Cominciamo a guardare la prima (lo spot della Fiat 500 Pop con Jennifer Lopez) in cui nessuno parla visto che è tratto dal videoclip della canzone che è la colonna sonora. La peculiarità è che nessuno parla e che ci sono delle scritte in inglese in sovraimpressione (se perdete un minuto di tempo a guardarlo sarà la prima cosa che noterete). Chiedo agli alunni: "Che cosa notate? Non si tratta di una tipica pubblicità italiana... no?"
...silenzio di tomba...
Un alunno alza la mano: "Ha cambiato gli occhiali, Madame?"

Buongiorno -.-

Di seguito la versione originale francese dalla mia bacheca di Facebook:

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We don’t need no education (ma sarà poi vero?)

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È di oggi uno splendido articolo a firma di Stefano Bartezzaghi apparso sul cartaceo di Repubblica e riportato da alcuni siti (Il Post, ad esempio), dal battagliero titolo: In difesa del latino a scuola. Si tratta di un articolo scritto in risposta all’accorata lettera di un padre disperato per l’amore di suo figlio verso una lingua inutile e “morta come la nostra classe politica”: il latino. Quella materia di cui - ahimé - ero a mia volta innamorata quando ero sui banchi di scuola. E non solo perché le traduzioni per me erano come parole crociate - un gioco di incastri, di trasposizioni di stati d’animo da collocare nel giusto modo e al giusto posto - ma perché è grazie al mondo latino (e a quello greco, non dimentichiamolo) che siamo quel che siamo. All’autore di quella lettera basterebbe darsi un’occhiata attorno per vedere quanto poco morto sia quel mondo. Ed è sufficiente che apra bocca - o scriva, che è lo stesso - per concretizzare la vitalità di quella lingua, che è sempre lì, si è solo trasformata.

Pur comprendendo la preoccupazione di un genitore per le sorti del figlio, condivido in pieno un semplice assunto di Bartezzaghi che spiazza in un lampo tutti i supporters di questa o quella materia all’interno dei programmi scolastici:

Ma quello che rende volgare (in senso tecnico) la contrapposta opinione del padre [...] è proprio la concezione delle materie scolastiche come strumenti utilitari, un'attrezzeria tecnica che a scuola ci viene consegnata perché «ci servirà» nella vita. [...] L'idea di quantificarne l'utilità è gemella all'idea di depurare i bilanci pubblici dagli investimenti per la cultura e dal sostegno a tutte quelle attività che l'economo considera improduttive e «senza ritorno». [...]

Un giorno un commissario leggerà i programmi scolastici con un paio di affilate forbici: quella sera a essere fatto a coriandoli non sarà il solo latino. La storia, non è forse "morta" per sua stessa definizione? E la filosofia? E a cosa serve la matematica, a un futuro avvocato o ortopedico? A cosa servono le lezioni di inglese, quando si sa che l'inglese lo si impara solo sul posto? La verità è che la scuola è utile né inutile: è a-utile[...].

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Enrica Antonini
Un'ingenua istruita e saggia, aggiungo io. Un bellissimo post, complimenti, molto appassionato. Concordo con ogni parola ... Leggi tutto
Sabato, 23 Marzo 2013 17:38
Veronica Adriani
Ti ringrazio, sono felice di non essere l'unica a pensarla così ... Leggi tutto
Sabato, 23 Marzo 2013 17:46
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