Madrid come Helsinki
Accade a Madrid che comincio a frequentare, con circa un mese di ritardo rispetto all’inizio delle lezioni, il corso di “Ergonomía y Deporte” all’università. Mi presento, avviso la professoressa che sono italiana e che quindi magari mi perderò qualche frase per strada, e via. Scopro che, anziché studiare un libro o una dispensa come si fa di solito, dobbiamo organizzare delle ricerche di gruppo sui temi che compongono il programma, condividerne i risultati con tutti gli altri, mettere tutto insieme e così, ottenere una specie di dispensa autoprodotta dagli studenti.
Dico ok. Che ne so come fate qua. Se lo devo fare, lo faccio.
E invece scoppia la protesta. Mailing list tra i compagni corso, lamentele, ma soprattutto raccolta firme portata ai piani alti della facoltà. Perché non è normale che non esista il materiale su cui studiare. Perché non si fa così.
Dico se vabbè, figurati…
L’ultima volta che ho provato a lamentarmi a Roma, ho fatto l’esame 3 volte e alla fine ho accettato un 20.
La faccio breve.
Ci hanno riuniti stamattina. Hanno cambiato il professore. Ci hanno detto che si ricomincerà il programma analizzando i temi più importanti, e che l’esame verterà esclusivamente sugli argomenti analizzati a lezione, considerando che manca poco più di un mese alla fine dei corsi. E se ci sono problemi, chiamateci, ditecelo.
Dico minchia.
Accade a Madrid. Capito? A Madrid, non in Finlandia che poi ve ne uscite tutti con la storia che lì però la gente si suicida. A Madrid. Spagna. Sole. Birra. E proteste che funzionano.
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