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Avatar (la mia esperienza in Second Life)

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Grazie all’invito di @Imparafacile lo scorso giovedì ho partecipato a una trasmissione in Second Life (SL): Gate24-Prove pratiche di futuro (qui il sito).

Oltre a ricevere un avatar tutto mio (lo considero un regalo avermi resa come volevo), è stata per me un’esperienza interessante per Scritture Brevi, il mezzo e il fine.

Ho avuto un’occasione per parlare della ricerca, del tema e del blog, ma si è trattato anche di un esperimento che mette in campo il carattere pluridimensionale annesso alla nostra nozione discritture brevi.

Il trasferimento del me fisico (corpo e voce) alla dimensione oltre lo schermo è una possibilità concessa da un’operazione di sintesi e riproduzione mediata dal computer.
Parlare di mondo virtuale è termine obsoleto, ormai decisamente generico, per rappresentare ciò che è evidentemente un prodotto di integrazione, ingrandimento, incorporazione, aumento, poiché non vi è soluzione di continuità tra il me da una parte e dall’altra dello schermo.

Sono stata in un’isola incontrando persone che contemporaneamente potevano essere con altre persone (come io ero con Ilaria), e questo allargava ancora la rete.
Ho anche incontrato amicizie di Twitter e chissà quando potremo vederci di nuovo.
La contemporanea diretta streaming aveva coinvolto partecipanti non registrati in SL. I loro contributi potevano arrivare attraverso la relativa chat e in questo modo non risultavano estranei, ma ancora integrati per effetto del sistema inclusivo.
Domande, interventi, commenti, esperimenti: quando si parlava di valore semantico del corpo consonantico delle parole ecco arrivare messaggi senza vocali; ugualmente parlando degli smile alla moda, li ritrovavo riprodotti, bello!
Poi, chi metteva link, chi postava foto; alcune slide erano proiettate in power point ed io mi impegnavo a descriverle per coloro che non fossero nella versione via video.
C’era anche chi era collegato con me solo via Twitter, ma era ancora un’espansione delle interazioni, una occasione altrimenti irrealizzabile.

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La deriva della creazione

Impressiona la rapidità con cui un hashtag che invita alla scrittura conquista gli utenti di Twitter. In pochi minuti molti testi sono prodotti e prendono a girare, allargando rapidamente la cerchia dei lettori e degli scrittori: un happening.
Ieri è stato il caso di #cappottinorosso, prima era stato per #1libroin1twit – e naturalmente, con gradi diversi di impegno e di durata, #lunafalò e #leucò (e bisogna dire che anche #scritturebrevi sta dando luogo ad una bella collezione di microstorie, individuali e collettive, e anche a paratesti e commenti).

Il processo può facilmente comportare modifiche inattese di direzione e composizioni da connessioni impreviste, segno dell’infinita corrente della riscrittura.
Per #cappottinorosso vi è anche da segnalare l’interessante effetto divisivo generato dall’ambiguità semantica della terminologia legata all’orrore, elemento che mette in evidenza la centralità della lettura (interpretazione).

La struttura a rete di Twitter, particolarmente per le relazioni non coincidenti di following e follower di ciascun utente (non vi è una comunità unica ma sono tanti microuniversi diversamente interrelati), comporta l’espansione non lineare, incrociata, contaminazioni e ritagli, completamenti e intersezioni, reinterpretazioni eventualmente non più dalla prima fonte, ma dalla più recente, o intermedia, una deriva della creazione.

Carattere peculiare dell’hashtag come strumento è di declinarsi ormai non soltanto come “argomento” (il topic ) ma anche come occasione esegetica (comment), poiché l’”aggancio” all’evento compositivo spesso si concretizza sul piano della “annotazione” meta-testuale, di una riflessione sull’operazione complessiva o sulla singola esecuzione.

L’abbinamento tra mezzo social e scrittura creativa favorisce l’istituzione di legami interni ed esterni ai testi e testualità nuove.
Sul piano dei linguaggi e del dibattito sui linguaggi (rispondendo a una sollecitazione di Isolaria Pacifico) è interessante seguire tali sentieri della scrittura e della lettura (“scritture brevi” fa questo) recuperando trafile, ricomponendo nessi, osservando insomma nel processo letterario un’espressione particolare dell’interazione, e il farsi continuo della lingua.

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Texting and its relatives

txtng
crystal

The first recorded occurrence of text as a verb in English is traced back by the OED to 1599. The afforded meaning is “To write in capital or large letters”.
The popular meaning nowadays is the well-known “to write/send someone a text message”, eventually through a mobile phone (from thence texting)”.

In both senses a peculiar focus may be observed on the idea of writing as a material performance.
The conveyed purport hints at the practice of assembling characters on a concrete support, a kind of printer’s work at the beginning, in any case a spelling play.

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Parlare con la macchina: OK GOOGLE

In un post dello scorso 18 maggio Vincenzo Cosenza ci parla di Google Now, un software che “porta alle masse il concetto di Anticipatory System“, un passo avanti rispetto al procedimento di fare la ricerca inserendo le parole “chiave”.
Si tratterebbe, in questo caso, di un prodotto in grado di instaurare una relazione tra uomo e macchina tale da consentire una costruzione dell’universo informativo basata sulla sequenza ordinata dei quest, dunque ricostruendo il filo del discorso senza rendere necessario il riferimento continuo alle nozioni pregresse: (“Se chiedo l’età di Obama e poi ‘come si chiama sua moglie’, il sistema capirà che mi sto riferendo al soggetto della prima domanda”).
Ulteriore connotazione del sistema è di organizzarsi per rilasciare un servizio vocale (comando:OK Google), secondo la tipica trasformazione algoritmica prevista nel trattamento automatico della lingua naturale.

Abbiamo detto che il motore di ricerca ci ha viziati, abituandoci ad avere soddisfazione alle nostre domande poste solitamente di fretta, anticipando il più possibile i nostri desideri sulla base delle funzionalità predittive come Instant Suggest (ieri: “Google e la libertà”).
Abbiamo anche osservato la capacità dei nuovi sistemi di memorizzare, della nostra ricerca, ciò che non abbiamo formalmente salvato, nel caso di un servizio di Policy Violation Checker in Gmail, definito, per questo, un “correttore automatico del pensiero” (qui A me gli occhi).

Possiamo affermare che i meccanismi del motore di ricerca si affinano sempre più nella direzione della brevità, attraverso l’operazione di costruzione (ri-costruzione) informatica dei legami, eliminando la tradizionale ridondanza dell’elaboratore elettronico in favore di un’organizzazione testuale dei dati.

Lo spazio dialogico dell’interazione uomo-macchina converge con andamento costante verso una proposizione delle dinamiche “reali” della conversazione, con le sue regole di cooperazione e di funzionamento: contesto, cotesto, coerenza, coesione, inferenze, presupposizioni, ovvero una produzione comunicativa in forma di sistema complesso, integrato, con nessi che vanno al di là del singolo intervento e coinvolgono tutte le fasi dell’atto comunicativo.
Naturalmente, come nella conversazione reale, il buon funzionamento del meccanismo sarà soggetto alle condizioni concrete, una configurazione a catena di elementi che noi includiamo ancora nell’etichetta “scritture brevi”.

Parlare con una macchina non è più fantascienza da tempo.
Farlo con le prerogative dell’uomo è un’esperienza.

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Google e la libertà

goooooooogle

Da The Google story di D. A. Vise (2005) ricaviamo la notizia della nascita del nome GOOGLE, che, come non raramente accade nei procedimenti onomaturgici, è un prodotto di inventiva e casualità.
Ecco la sintesi da Wikipedia:

“I due fondatori, Page e Brin, cercavano un nome che potesse rappresentare la capacità di organizzare l’immensa quantità di informazioni disponibili sul Web; avevano bisogno di un’iperbole.
Utilizzarono un nome già esistente: Googol, termine coniato dal nipote del matematico statunitense Edward Kasner nel 1938, per riferirsi al numero rappresentato da 1 seguito da 100 zeri. A Page e Brin sembrò perfetto come metafora della vastità del web. I due fondatori avevano intenzione di chiamare il neonato motore di ricerca proprio Googol, ma al momento di pubblicare il loro search engine questo dominio era già stato assegnato, perciò Page e Brin furono costretti ad optare per la parola Google (quella che tutti oggi conosciamo).”

Nell’etichetta Google si trova, dunque, all’origine, il riferimento all’idea di numero e alla qualità infinita della numerazione.
Una felice intuizione, cui può collegarsi l’invenzione più recente della figura che accompagna i risultati della ricerca nel motore Google, collocata, come tutti sappiamo, a fondo pagina. Ed eccola:

A me sembra una bellissima immagine, evocativa – attraverso strade grafico-visive – della dimensione “all’infinito” dell’operazione di ricerca: nel tipico layout della stringa, l’etichettaGoogle viene rappresentata con tante “o” quante sono le pagine digitali risultanti.
Collocate di seguito alla grande (di Google), le lettere “o” diventano tanti zeri che richiamano la (smisurata?) quantità dei dati. E ciò non soltanto in chiave simbolica, poiché cliccando su ogni singola “o” apriremo una pagina piena di link al web.

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Su Shazam e Scritture Brevi

Ci spiega Wikipedia che il software Shazam identifica una produzione musicale “catturando” la porzione di una canzone in riproduzione.
Il campione viene confrontato con una banca dati centrale che ha attualmente un catalogo di 11 milioni di canzoni. Il risultato finale è il riconoscimento della traccia.

Caratteristica del software è di lavorare sul raffronto di “impronte” digitali.

L’operazione di “riduzione” a segno del grande universo del rumore può essere paragonata al procedimento della costruzione della grammatica e/o della scrittura alfabetica.
In tutti i casi si parte dall’entità (concreta) sonora delle produzioni linguistiche (l’infinito catalogo dei foni) e la si riconduce a poche unità minime (“fonemi” e, nello scritto, “lettere”).
La combinazione di questi elementi può comporre – e identificare – tutte le parole possibili della lingua.

E’ il contrasto tra l’atto linguistico (il saussuriano “atto di parole“), unico e irripetibile, e il sistema dei segni convenzionali (la langue), un processo di segmentazione della massa indistinta del pensiero che, solo, consente all’uomo la comprensione del dato di realtà (ancora Saussure).

I concetti di tracciaimprontasolco, formano, nella speculazione arcaica, la concezione di signum(su questo Diego Poli).

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Google+ dal volto umano

Il nuovo volto di Google+ ce lo racconta Vincenzo Cosenza qui.

Le molte novità (ben 41!) annunciano un carattere spiccatamente social, che adegua il mezzo, nell’aspetto e nei modi, ai social più popolari: un po’ Facebook un po’ Pinterest, il nuovo Google+ evidenzia attraverso strumenti formali di condivisione l’aspetto della partecipazione alla comunità.

In una struttura a tre colonne prevalgono figure e forme.
Compare l’hashtag, associato dal sistema ai contenuti.

Altre funzioni.
Hangouts organizza la messaggistica sulla base delle interazioni. Auto Highlight compone gli album fotografici personalizzati sull’utente, provvedendo alla selezione automatica delle immagini migliori. Auto Enhance e Auto Awesome permetteranno di divertirsi modificando le foto a piacimento.

Google+ fa così immaginare +gruppo +compagnia +vitareale

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Chi trova un amico

Da qualche tempo le richieste di contatto in Facebook arrivano accompagnate dalla frase “tal-dei-tali ti ha aggiunto ai suoi amici”.
Prima di ciò era scritto “tal-dei-tali ti ha inviato una richiesta di amicizia”.

La procedura attivata resta immutata. Ovvero sta al destinatario la scelta di “accettare” l’offerta di amicizia, dando luogo in tal modo all’avvio del contatto concreto.

Al di là dell’accezione della parola “amico” nel social network, evidentemente nuova e non corrispondente all’immagine “classica”, è interessante la nuova modalità (G+ potrebbe essere veicolare), che non più chiede, bensì comunica quel che appare come un dato di fatto: “ti ha aggiunto…”.

E se già prima appariva difficile o scortese respingere le richieste, tanto più inopportuno diventa oggi non corrispondere. Direi che il messaggio che traspare è “Guarda che lui ti ha aggiunto. E tu che aspetti a farlo?”

La comunità social in questo e in altri modi riproduce se stessa.
“Amicizia su Facebook” è scritture brevi.

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Per la festa della mamma: DOODLE (Che carattere!)

Nella tradizione dei doodle, Google ci regala oggi alcuni “modelli” per comporre ed inviare un biglietto personalizzato per la festa della mamma, con la possibilità di realizzare 27 disegni differenti dalla base di tre cornici, per un totale di 81 combinazioni.

Google per la festa della mamma

Cogliamo l’occasione per fare i nostri auguri alle mamme e, insieme, ringraziamo Google per l’iniziativa di oggi (utile se fossimo a corto di idee e comunque uno spettacolo), dedicando questo post alla bella consuetudine del doodle.

Travestendo di volta in volta il proprio nome di elementi (segnali) indicativi, il motore di ricerca riveste di contenuti le nostre giornate, strappandole alla anonima monotonia della successione regolare dei giorni.

Un calendario digitale che quotidianamente ci offre il buongiorno con un messaggio “in codice”, privo di ridondanza e con la massima espressività concessa dalle immagini.
Un’operazione culturale, inoltre, dato che le ricorrenze sono di solito relative a personaggi ed eventi storici di cui sarebbe difficile tenere memoria.
Una tecnica divulgativa dunque, una lezione in forma di gioco, un’esperienza educativa che parte dal palcoscenico più popolare, quello del web, sfruttando al meglio i ritmi dell’attenzione: il disegno allude, attrae, il cursore sfiora e la figura si disambigua attraverso la didascalia; un click e si entra in “aula”.

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A me gli occhi

Sappiamo (e per gran parte apprezziamo) il sistema predittivo del motore di ricerca, che memorizza per noi e, come un genio della lampada pronto a esaudire i desideri, ci segnala, in cima alle liste dei risultati, quelli giudicati personalmente attesi o graditi.

Questo processo, basato su economia e risparmio nella digitazione, comporta alcuni inevitabili conseguenze in fatto di possibile limitazione delle potenzialità della ricerca e dei percorsi che possono aparire tendenzialmente infiniti ma, di fatto, si rivelano concretamente controllati.
Unito al dato statistico poi, il meccanismo ha un ruolo fondamentale nella costruzione e nella struttura della comunità social. Hashtag e filtri vari sono del resto effettivamente importanti perché ci aiutano a ritrovare e ritrovarci nell’intricato e infinito labirinto della grande rete mondiale.

Si comprende, in relazione a un tale procedimento, l’effetto globalizzatore indotto dalla ricerca sul web. Esercizio che abbiamo fatto con gli studenti è di digitare “facebook” ottenendo puntualmente il link al sito del più famoso social network, ma “face”, “fb”, persino la sola “f” condurranno il ragazzo allo stesso risultato. Potenza di Scritture Brevi.

E’ inedita tuttavia la notizia (qui l’articolo da Repubblica) del progetto dell’inserimento di unPolicy Violation Checker in Gmail, un sistema di controllo preventivo delle nostre scritture prima dell’invio, in modo da evitare la spedizione di messaggi dei quali poi potremmo pentirci.
Una sorta, come viene detto, di “correttore automatico del pensiero”. Un correttore che, aggiungiamo noi, concretamente si basa su quanto scriviamo, prima della cancellazione ed eventualmente prima dell’irrevocabile ok dell’invio (ma chi usa Gmail avrà già notato l’opzione “annulla invio” che nel giro di pochissimi secondi ci consente un improvviso ripensamento).

Impressionante, come minimo, il controllo del mezzo digitale su di noi, soprattutto in casi come questi di cui stentiamo a renderci conto. Siamo propensi infatti a ritenere che sia evanescente e inconsistente ogni segno non salvato. Evidentemente non è così: resta traccia (sul concetto un interessante intervento di Maria Strada, Corriere della Sera) a tal punto da arrivare alle nostre intenzioni e, come sempre, alle nostre menti.
Per altri versi rispetto all’intervento di ieri di Margherita Rinaldi, è il caso stavolta di dire: scripta manent. Ed è un fatto di Scritture Brevi.

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