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Il migliore

“Facebook è concavo, Twitter è convesso. Sul primo si sta insieme, si passa il tempo, ci si scambiano foto; il secondo invece è contemporaneo, è appuntito. Su Twitter lanci frecce, su Facebook dei paracadute. Facebook è un bel giardino chiuso, è perfetto per il mio papà che a 78 anni ha ritrovato così un contatto quotidiano con i nipoti e gli amici di una vita; Twitter invece è una città aperta. Qui hai la sensazione di essere un media mondiale e con la tua pallottola da 140 caratteri teoricamente puoi colpire chiunque ed essere raggiunto da chiunque. Ha una potenza gigantesca.” (Jovanotti, intervista a Repubblica, 26.11.2011)

Che bella (da conservare!) l’immagine con cui Jovanotti spiegava la differenza tra Facebook e Twitter (grazie Margherita!).
Da una parte il giardino, florido e accogliente. Il luogo dell’amicizia, delle relazioni strette (a volte “complicate”) e familiari.
Dall’altra, la collina (la montagna?), da cui si parla, o si guarda, al mondo.
Tutta un’altra prospettiva!
E chi non ama i luoghi troppo angusti, ed è curioso e ama spaziare, è immediatamente conquistato.

Facebook insegna a raccontare, esprimere, comunicare (non per niente chiede: “A cosa stai pensando?”), e insegna ad avere cura (ad esempio ricorda i “Compleanni”).

Per lo più Twitter insegna a “seguire”, che equivale ad ascoltare, ovvero a leggere.
Ma poi insegna anche a scrivere.

Due giorni fa Beppe Severgnini ci ha parlato di Twitter come disciplina per la bella brevità.
Molti che seguono Scritture Brevi staranno ora leggendo il suo “Italiani di domani”, ed ecco: “Twitter è un sondaggio istantaneo, una gioia, un circo, un seminario, uno sfogo, un malumore, un modo di capire dove soffia lo spirito del tempo. Un tweet è un soffio d’aria fresca nelle stanze del cervello. Twitter non è un’alternativa ad altre forme di espressione. È uno strumento nuovo. Un decespugliatore del pensiero…”.
Non potremo dimenticare queste immagini.

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Chi va piano va sano e lontano, ovvero: @ (Che carattere!)

Ecco mi arriva da @atrapurpurea (la cito e la ringrazio per questo! e sempre citare le fonti, per correttezza) la notizia dell’acquisizione da parte del MoMA del simbolo della chiocciola – @
Dedicare un post alla chiocciola in questo blog è atto dovuto e da tempo ci pensavo, se non fosse che molti ne hanno scritto e bene. Questa notizia è per me l’occasione.

Leggiamo su LSWN.it una sintesi della sua storia, che ci rammenta la lunga e molte volte rinnovata esistenza: oggi nella lingua della rete (dopo il 1971), poi all’indietro, nelle tastiere come simbolo commerciale e, da ultimo, nella pratica medioevale dell’abbreviazione della preposizione ad (e qui citerò noi: Scritture Brevi di ieri, Chiusaroli&Zanzotto).

Voglio aggiungere all’excursus l’impiego attuale, lanciato da Twitter, come segno identificativo dell’etichetta “destinatario”, tale da trovarsi esportato, con questo senso, in contesti in cui esso non ha valenza operativa (es. in Facebook e vale anche per l’hashtag) ma solo “indicativa”.
L’importanza della proprietà significante del segno nelle scritture brevi si pone inoltre alla base dell’impiego di @ al posto della lettera “a”, ad esempio nei nickname e soprattutto nelle password, per le esigenze della sicurezza, e per la cripticità, per sfuggire alla censura.
Nell’italiano se ne segnala l’occorrenza al posto delle desinenze di genere -o/-a negli indirizzi plurali collettivi (Car@ Colleg@) (ne abbiamo parlato con Enrica).
Ancora riferito alla forma è infine l’utilizzo per disegnare una rosa (adagiata), da inserire nelle lettere d’amore dell’era digitale: –’-@ (sui nuovi scenari delle #scritturebrevi d’#amore abbiamo appena letto Francesco Longo e che bello sarebbe trovare la chiocciola/rosa in Tweet di un discorso amoroso di Roberto Cotroneo…).

E’ il caso di dire: @ (Che carattere!): è la nostra più famosa lumachina e va lontano.

Francesca Chiusaroli, da "Che carattere!", www.scritturebrevi.it, il blog di Scritture Brevi
13 aprile 2013

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Non parteciperò (Che carattere!)

Ritengo che non vi sia scrittura breve meno social.
Il “Non mi piace più” è frutto di un ripensamento, fa immaginare un percorso mentale, dal sì al no, un’evoluzione, seppure in senso negativo.
“Non parteciperò” è come un processo senza appello, peggio ancora, una condanna senza processo. L’alternativa a disposizione è “Forse”, ma suona supponente.
Mille motivi possono esistere per un’assenza, ma perché liquidare l’invito di un amico con uno sbrigativo “Non parteciperò”?
Non si potrebbe pensare a un “Vorrei ma non posso”? Il luogo della condivisione ne gioverebbe.

P.S. Consideriamo le corrispondenze inglesi: “Join”, “Maybe”, “Decline”. Forse sono meno aspre
(To be continued)

Francesca Chiusaroli, dalla rubrica "Che carattere!", www.scritturebrevi.it, il blog di Scritture Brevi
11 aprile 2013

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Ed ora #OuTwiPo

“Un labirinto è un edificio costruito per confondere gli uomini; la sua architettura, ricca di simmetrie, è subordinata a tale fine”
Dal labirinto (mezzo e fine) di Borges traggo lo spunto per salutare l’avvio di #OuTwiPo.
Nasce oggi questo bellissimo hashtag di Claudia Vago (@tigella):
La fine è nata
Mette insieme il ricordo di un gioco di noi ragazzini, quando “ciascuno prendeva un foglio, scriveva una riga di storia, piegava il foglio e lo passava alla persona successiva, che scriveva una riga, piegava e passava il foglio a sua volta… alla fine i fogli venivano aperti e si leggeva la storia. Sconclusionata, di solito”.
Aggiunge il richiamo all’OuLiPo di Queneau.
Invita i cinguettanti creativi a un’opera collettiva.
Ed ecco iniziata una nuova avventura.

“L’idea è quella di raccontare una storia partendo dalla sua fine. Ciascuno aggiunge, con un tweet, il pezzo che precede quello screenshottato e incluso come immagine nel tweet e aggiungendo l’hashtag #OuTwiPo [...] chi scrive il pezzo precedente di una storia che già esiste può dare a quella storia tutto un altro senso. Inoltre, immaginando che siano in tanti a partecipare, più persone possono scrivere frammenti della stessa storia, creando diramazioni continue. Alla fine non avremo una storia, ma decine, centinaia e ciascuna completamente diversa da tutte le altre, con un solo punto in comune: la fine.”

#scritturebrevi non poteva mancare.
Tanto più non poteva mancare in quanto le molteplici diramazioni del labirinto si potranno seguire in tempo reale nella rappresentazione ad albero di Pearltree: una spettacolare figura di #scritturebrevi in movimento.

Contenta di avere incrociato Claudia, voglio augurare buona strada a #OuTwiPo.
Seguirò con la passione invadente dell’hashtag #scritturebrevi. Entrerò nel labirinto e percorrerò i suoi sentieri, i vicoli, le strade senza uscita, le infinite vie della creazione che sono, come sempre, vie per la conoscenza.
Anche stavolta, come #leucò, il mezzo e il fine si incontrano. Anche stavolta ne saremo arricchiti.

Dimenticavo: qual è la fine? #FF #OuTwiPo

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Piccoli segni crescono (Che carattere!)

:-)

Evviva gli emoticon, le cosiddette faccine, che accompagnano i nostri messaggi disambiguandone il tono attraverso l’inserimento, accanto alle parole, di uno sguardo espressivo spesso confortante (“Meno male, non è arrabbiato con me…”).
L’iniziativa (che “il mito” data nel 1982) di comporre figure di sguardi attraverso l’unione di segni consecutivi che insieme danno forma a faccette immette il principio della non-linearità all’interno di sistemi scrittori alfabetici per loro natura “lineari” (Chiusaroli&Zanzotto).
Si tratta di un mutamento di prospettiva e di paradigma, che si manifesta massimamente come scarto generazionale.
La sequenza : – ) verrà letta come “due punti trattino chiusa parentesi” o vista, sinteticamente, come uno smile sorridente, in uno stesso nucleo familiare, in base all’età e alla cultura digitale del “lettore”.
La vastità delle manifestazioni è indice della potenzialità espressiva dei segni e della creatività umana:
: – ) si sono aggiunti il contrario : – ( il canzonatorio ed ironico ; – ), e così via. La rete è stracolma di elenchi disponibili.
Il presupposto economico che contraddistingue il texting (“not writing but fingered speech”) si è presto manifestato, portando alla eliminazione, in queste figure, del segno del “naso”, uguale in tutti gli emoticon, dunque elemento evidentemente non informativo. Toglierlo, come si vede, non toglie niente alla comprensione del messaggio:
da : – ) è derivato : )
da : – ( è nato : (
da ; – ) abbiamo ; )
Si tratta di un’interessante evoluzione nel campo delle Scritture Brevi (Chiusaroli).
Ma talmente ansioso di novità e alieno alla noia è il mondo dei giovani da dare vita continuamente forme inedite, che vengono affiancandosi alle forme note, producendo effetto di freschezza comunicativa e, come sempre, di gioco e divertimento.
Ecco quindi che, mentre tipicamente l’immagine dello smile andava letta con il capo idealmente inclinato a sinistra, nascono le nuove forme da leggere col capo inclinato a destra:
(:
):
L’impiego degli smile “al contrario” è ora sempre più diffuso e se ne nota il vantaggio particolare di sfuggire agli automatismi della trasformazione informatica che colpiscono indistintamente segni come : – )  .
Va detto che la legge della simmetria impedisce che queste nuove forme abbiano applicazione generale su tutti i modelli – ad esempio è impossibile invertire ; ) senza rischiare un curioso effetto di senso “depressivo” ) ; .
Ciò fa immaginare una sopravvivenza degli smile tradizionali, ma resta impressionante la rapidità delle trafile, la loro continua relazione alla vita della lingua.

Francesca Chiusaroli, da www.scritturebrevi.it, il blog di Scritture Brevi

7 aprile 2013

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Codice a Barre (Che carattere!)

Il compleanno del Codice a Barre viene salutato con un interessante riferimento alla “lingua globale” del business.
Parlare una lingua unica e comune è aspirazione dell’uomo in ogni epoca.
Vissuta come una colpa dopo il peccato dell’Eden e la trasgressione di Babele, la pluralità linguistica è stata sempre e variamente combattuta, con una costante tensione all’unità (Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea).
L’idea di una lingua che potesse risolvere il problema baconiano degli idola fori (tanti significanti diversi impediscono la corretta comunicazione) si è concretizzata, ad esempio, nella/e proposta/e di un ricorso a una scrittura universale (globale), tale da potere essere decodificata (letta) in ogni lingua. Si tratta di scritture brevi che attraverso il tramite leibniziano hanno costituito la base teorica della nascita dei linguaggi informatici (Chiusaroli&Zanzotto).
E’ rilevante l’immaginato progetto di ideale condivisione attraverso segni grafici univoci, capaci di sintetizzare l’informazione e, eventualmente, scomporla in elementi minimi significativi. Il Codice a Barre, il suo più recente omologo Codice QR (QR Code), ma anche altri nuovi ideogrammi (anche gli smileys), sono capaci di tutto questo.

Francesca Chiusaroli, www.scritturebrevi.it, il blog di Scritture Brevi (2 aprile 2013)

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Ad esempio #leucò

Che bello il progetto #Leucò.
L’iniziativa della Fondazione Cesare Pavese – ideatori Paolo Costa, Hassan Bogdan Pautàs, Pierluigi Vaccaneo – di radunare utenti di Twitter in un’operazione di lettura, rilettura, scrittura, riscrittura dei Dialoghi con Leucò si è rivelata fruttuosa di emozioni e di testi. Ieri sera la diretta streaming e SecondLife è stata il traguardo di una trafila di giorni emozionanti.
Secondo la caratteristica di Twitter, dal primo giorno in poi un flusso ininterrotto e crescente ci inondava.
L’hashtag, la lista dedicata (le liste!) – LeucòLeucò Band – l’account Lost/in#Leucò, ci hanno resi speciali compagni di viaggio, uniti dalla forma, dal contenuto e da entrambi.
Secondo una pratica ormai consueta, il gruppo di scritturebrevi.it (e va bene, principalmente io) si è inserito ritwittando i twit con l’hashtag #scritturebrevi.
Bello il catalogo digitale che l’hashtag consente di creare. Diventa una banca dati, un sistema di classificazione, un punto di vista (personale ma poi comune).
E quale il punto di vista di #scritturebrevi su #Leucò? Basta mettere insieme i due hashtag e cercare, per averlo.
Si abbina a #twittletteratura (#twitteratura), processi creativi, pensieri lunghi, Semiotica 2.0, bio-text.
Usa Twitter come strumento: “vincolo 140” uno scalpello.
Tra i verbi: smontare, sezionare, smembrare, estrarre.
E’ comunicazione: emozione del dialogo, incontro, incrocio.
E’ creazione: inventare linguaggi.
Altre azioni: nominare le cose, smembrare per conoscere.

Ma gli stessi twit sono #scritturebrevi, e ciò vale non soltanto per #leucò ed equivale a esperienza che accomuna.

Mi chiedono spesso “Cos’è #scritturebrevi?” (“Cos’è scritture brevi?”)
Insisto con la formula: #scritturebrevi, il mezzo e il fine. Ogni incontro ci arricchisce.
Ad esempio #leucò.

Francesca Chiusaroli, da www.scritturebrevi.it, il blog di Scritture Brevi (4 aprile 2013)

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No matter #aprilsfool

Che sia o no un pesce d’aprile, l’iniziativa odierna di un’applicazione Twttr che prevede di usare solo consonanti per la redazione dei twit (le vocali ci sarebbero, ma a pagamento), fornisce un ottimo hashtag da associare al nostro #scritturebrevi.
Ai convegni di Scritture Brevi abbiamo parlato del valore informativo delle consonanti rispetto alle vocali; abbiamo anche parlato di fasi alfabetiche originarie nella storia dei sistemi di scrittura, che prevedevano grafie di sole consonanti (eventualmente lette ma non scritte). Ancora una volta il presente è già nel passato, niente appare nuovo o inusitato.
In particolare per ciò che concerne l’inglese, l’evoluzione del repertorio fonologico vocalico che è seguita alla fissazione della stampa (William Caxton) ha determinato l’allontanamento della scrittura dalla pronuncia quale oggi conosciamo: il vocalismo ha preso la “deriva” del grande spostamento vocalico, mentre il corpo consonantico è restato per lo più stabile. Ma anche per altre lingue, ad esempio in italiano, è possibile trascurare la componente vocalica delle parole, senza troppo compromettere il significato.
Certo, ambiguità sono possibili (“vd”: equivale a “vedo” o a “vado”?), ma il contesto fornisce sintagmi e collocazioni, sciogliendo i dubbi e autorizzando (o meno) le forme:
“vd a casa”
“vd 1 casa”
Le Scritture Brevi sono “plurali” anche per questo: si organizzano “tra convenzione e sistema” (Chiusaroli&Zanzotto)
Twitter poi è, secondo un’espressione che ci accompagna, il mezzo e il fine. Non sarà casuale che Jack Dorsey, l’inventore di Twitter, abbia all’inizio chiamato twttr la sua invenzione: l’alternativa ie(solo vocali) sarebbe stato arduo decodificarla.
La proposta odierna, come prevedibile, ha scatenato la fantasia e il divertimento degli utenti, con molti interessanti contenuti per il nostro laboratorio-palestra #scritturebrevi.
#twttr: fatevi un giro!

Francesca Chiusaroli (Scritture Brevi)
1 aprile 2013, post da www.scritturebrevi.it, il blog di Scritture Brevi

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La fortuna aiuta gli audaci

"Mi sento fortunato": tutti abbiamo presente quel tasto, che affianca "Cerca con Google" nella pagina del motore di ricerca, ma pochi, in verità, si avventurano nel click.
Diversamente dal più rassicurante componente della coppia ("Cerca con Google"), affinché l'esito della ricerca sia quale vogliamo, occorre essere certi di avere inserito tutti gli elementi "necessari" e poi click!, si procede con fiducia: uno ed uno solo sarà l'esito proposto e, nella prospettiva scelta, dovrà essere quello giusto.
In realtà non è garantito il risultato. L'urgenza dell'operazione e la fretta con la quale normalmente utilizziamo Google non favoriscono di certo il dilungarsi nell'inserimento delle forme linguistiche utili. Ugualmente lo spazio messo a disposizione è una barra di pochi centimetri, la quale concretamente può allungarsi contenendo tutto, ma intanto visivamente induce l'utente alla brevità. E' alto, di conseguenza, il rischio che il tentativo fallisca.
Molto più comodo appare il pratico "Cerca con", che, a fronte dell'infinita serie dei risultati, offre comunque buone possibilità che il risultato cercato sia contenuto nella prima pagina, o poco sotto. Con "Mi sento fortunato", ad obiettivo mancato, occorrerà rifare tutto, annullando il tempo risparmiato.
Ma "Mi sento fortunato" ("I'm feeling lucky" e ogni lingua ha la sua lettura) è l'espressione specializzata dei meccanismi del motore di ricerca, nella nostra prospettiva è il tasto che meglio esprime il valore delle scritture brevi per la ricerca nella rete. Selezione e combinazione degli elementi grafici danno vita alla chiave dell'indagine e sono la via di accesso alla conoscenza: pochi elementi, ma buoni, conducono alla mèta: operazione apparentemente meccanica, con evidenti ricadute ideologiche, che rende l'utente soggetto attivo e passivo nella costruzione dell'universo delle conoscenze "cercato" (si cerca ciò che altri cercano o hanno cercato). La fortuna auspicata corrisponde alla capacità nelle operazioni di scelta, premiando il merito e la decisione.
"Mi sento fortunato" è il "Cerca con Google" dell'ottimista, che in questo caso è un bravo cercatore.

Francesca Chiusaroli, dalla rubrica "Che carattere!", www.scritturebrevi.it, il blog di Scritture Brevi

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#scritturebrevi va in città

In più di un’occasione dalla nascita del progetto, nel 2010, ci è capitato di riflettere sulla questione di tradurre l’etichetta “Scritture Brevi” in inglese.
Attività accademiche o istituzionali come partecipare ai bandi dei progetti di ricerca e le stesse esigenze pratiche della internazionalizzazione dei prodotti richiedono, come è noto non solo agli addetti ai lavori, la redazione della traduzione in lingua inglese di tutti i documenti.
Ci siamo dunque spesso concentrati sulle possibili versioni in inglese del nesso “Scritture Brevi”, anche interpellando colleghi di lingua o di madrelingua inglese.
La soluzione più facile, pratica ed immediata è short writings.
Come si capisce, non è la soluzione ottimale.

Le alternative in Google traduttore sono:
scritturawriting, handwriting, document, contract, books, accounts
scrittowriting, work, writ
documentodocument, paper, record, identification, writing, bill
grafiahandwriting, spelling, writing, character
calligrafiacalligraphy, handwriting, writing, penmanship, paw, fist

Vi sono altri termini possibili:
Texting appare buono per le “scritture brevi” come il “messaggiare” (sms, o CMC), ma inutilizzabile nella prospettiva diacronica, che a noi interessa.
Alphabets è ottimo per le scritture alfabetiche, ma non per quelle pittografiche o logografiche, sempre, ma non solo, delle fasi antiche (gli smile).
Abbreviations veicola l’informazione della “brevità” ma colloca la scrittura in posizione subordinata.

Giudico riduttiva ognuna delle versioni inglesi, pur disponibili ed utili. In particolare la forma italiana al plurale - "Scritture Brevi" - da noi adottata, fornisce alla nostra etichetta speciale densità ed identità di fronte alle traduzioni inglesi, rispettando la nostra considerazione "inclusiva" delle fenomenologie implicate (characters, ad esempio, è buono perscrittura, ma short characters escluderebbe dall’indagine la considerazione delle produzioni testuali; questa è mantenuta, ad esempio, da records, che però non conserva il riferimento alla scrittura): come sempre ripeto, “Scritture Brevi” è il mezzo e il fine.

Personalmente ritengo che con “Scritture Brevi” siamo senz’altro di fronte a un caso in cui la forma italiana è più completa di quella inglese, più adatta, appropriata, corretta, calzante, idonea, conveniente.
La problematica della traducibilità, che, come sappiamo, non costituisce soltanto un problema nomenclatorio, si manifesta in questa, come in altre occasioni, coinvolgendo la dimensione metalinguistica.

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