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La tirannia dell'hashtag (per una grammatica di #scritturebrevi e #corsari)

emily-dickinson

Vorrei proporre alcune considerazioni linguistiche sulla grammatica di Twitter, partendo da #scritturebrevi.

La “tirannia” dell’hashtag si è manifestata per noi innanzi tutto nella necessità di unire le due parole in questione scritture brevi (non sarebbero altrimenti state catturate come forma unica dal sistema): ed ecco come nasce #scritturebrevi.
Devo dire non male per viaggiare con saldezza nel grande mare della rete.
Su Twitter e simili l’hashtag attrae a noi, in senso concreto, è elemento aggregatore che conduce alla nostra ricerca.

Complici lo stile “spezzato” dei 140 caratteri ed anche la tipica tendenza alla “personificazione” che riguarda l’uso dell’hashtag, #scritturebrevi non necessita dell’articolo, attivando quasi un processo onomastico.
Come persona dotata di nome proprio, ad esempio, #scritturebrevi seguirà , o #scritturebrevi vi segue.
Fa un po’ scuola il titolo del post #scritturebrevi va in città, con cui abbiamo varcato la porta della lingua inglese.
Da quel post, una mia studentessa ha detto di figurarsi una ragazza in cammino col cestino, ed è evidente il richiamo al film di Virzì e alla famosa immagine della ragazza ritratta di spalle in locandina, ma risultano molte occorrenze nei titoli, da Heidi va in città, a Giulio Coniglio va in città, aBabe va in città (ed io veramente mi ero ispirata a una poesia di Emily Dickinson).

L’identificazione (operativamente parlando, come gestione pratica) con me scrivente fa sì che l’hashtag attivi su sé il ruolo di personaggio agente, ed ecco frequentemente espressioni con #scritturebrevi come soggetto alla terza persona singolare, come #scritturebrevi seguirà,#scritturebrevi ama la poesia e i poeti#scritturebrevi illumina Twitter, e così via.

Non sono per altro regole assolute, dal momento che occorrono, anche da parte mia, usi diversi, come seguiremo con #scritturebrevigrazie di seguirci, #scritturebrevi (in questo caso è come una firma, ed è utile per il richiamo al marchio).

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VIVA VERDI! #scritturebrevi per non dimenticare

verdiWikipedia

L’anniversario di Tienanmen/Tiananmen (ieri) è stato raccontato nel contributo di Repubblica con un interessante resoconto sui procedimenti di censura, messi in atto nella comunicazione pubblica e in particolare sul web, per evitare la diffusione della notizia e, in tal modo, coprire, e possibilmente distruggere, il ricordo della dolorosa vicenda.
L’intenzione di intercettare e di conseguenza bloccare le informazioni contrarie alla propaganda di governo viene realizzata col metodo di filtrare le parole sensibili, tra le quali soprattutto sono i numerali per riguardo alla data “4 giugno (6) 1989″.
Riporto uno stralcio dall’articolo:

“Così se su Sina Weibo, il più diffuso sistema di microblog cinese, da sempre è bandita la data 4 giugno e 4 giugno 1989, oggi vengono bandite anche ’64′ (giugno 4), 24 (è il 24mo anniversario della strage). Ma anche il 35, perché il 4 giugno in internet viene chiamato anche il 35 maggio. Bandite non solo le cifre, ma anche le lettere o le parole relative ai numeri. E via dal web anche le operazioni aritmetiche relative a questi numeri, come ’63+1′ o ’65-1′. E il più sottile ‘otto otto’, perché moltiplicando i due numeri si ottiene 64. Ma non finisce qui: la mannaia della censura si è abbattuta anche su parole come ‘oggi’, ‘domani’, ‘giorno speciale’, ‘quel giorno’, ‘quell’anno’. Cancellate anche immagini con candele, e naturalmente la parola ‘candela’. A quasi un quarto di secolo da quell’evento, l’anniversario resta una data molto sensibile per il regime cinese, che cerca di impedire ogni discussione pubblica o commemorazione di quei fatti.
Ma la fantasia si scatena per aggirare il blocco. Oggi quattro giugno, Pechino si è svegliata con un cielo grigio, oscuro e minaccioso, “proprio come quel quattro giugno dell’anno 78 della Repubblica”, scrive un utente su Weibo. Conta gli anni partendo dal 1912, l’anno dell’instaurazione della Repubblica di Sun Yat-sen, al crollo dell’ultima dinastia imperiale Qing, per indicare il 1989 in maniera abbastanza fantasiosa da sottrarsi all’occhio attento della censura.
Un altro utente protesta per la rimozione del messaggio ‘in lutto’ dalla rete, lamentandosi che ‘i cinesi non hanno più nemmeno il diritto al lutto, ogni anno in questo periodo’, e se la cava scrivendo Tiananmen con una combinazione di caratteri diversa dall’originale. ‘Il 64 ricordiamo il sacrificio per la democrazia della generazione precedente’, scrive un altro internauta riferendosi al quattro giugno.”

Conosciamo (e abbiamo varie volte commentato) la capacità del motore di ricerca di “catturare” meccanicamente le informazioni: se da una parte si tratta di un importante strumento di potenziamento delle risorse per le indagini, l’automatismo costituisce in realtà, all’inverso, un altrettanto forte inconveniente nel caso in cui vi sia interesse a sfuggire ai controlli predisposti.

La crittografia e le relative tecniche di cifratura dall’epoca moderna si fanno risalire al De cifris di Leon Battista Alberti e – senza soluzione di continuità – arrivano fino agli algoritmi dell’informatica (abbiamo qui citato un caso legato a Alan Turing), poiché appare evidente la relazione tra l’organizzazione dei dati della conoscenza e i meccanismi di filtraggio a base grafica.
Entrano poi nella medesima tipologia i “giochi di scrittura” come gli alfabeti segreti dei bambini, dove si prevede la sostituzione di lettere con lettere, o di lettere con numeri, o di numeri con lettere, per costruire messaggi da indovinare.
E sono gli stessi procedimenti crittografici di certi giochi popolari tra gli appassionati di enigmistica.
Tra i contesti drammatici si ricorderà l’espressione “VIVA V.E.R.D.I”, usata come motto nelle insurrezioni anti-austriache del nord Italia nella lotta per l’unità nazionale: l’immediatezza della identificazione di “VERDI” con il musicista generava volutamente oscurità quanto al reale valore del termine, realmente acronimo di “Vittorio Emanuele Re D’Italia”.

Molti contesti, dunque, per una stessa base di partenza, che è l’espressione significante della lingua.
La crittografia è Scritture Brevi

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Marta Traverso su GirlGeekLife (Libro delle firme e “geek”, che carattere!)

GGL
martatraverso

Termine interessante GEEK.
Il suo significato varia dalla connotazione negativa di “disadattato fanatico di tecnologie” alla sua controparte positiva “persona interessata all’informatica o ai nuovi media”.

La duplice accezione esalta il “carattere” di GirlGeekLife, sottotitolo “Il magazine delle ragazze appassionate di tecnologia”.
Lì, ieri (3 giugno 2013), un’intervista di Marta Traverso a Scritture Brevi.


L’intero articolo qui.
Geek: sta a ciascuno scegliere da che parte stare. Geek: che carattere!

 
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Send and run

papercraft
smartphone-addiction-at-office-steealthgenie-2

Su Urban Dictionary, il famoso dizionario collettivo dello slang (ora in verità accoglie ogni parola), ho trovato l’espressione “Send and run” (voce inserita il 6 maggio 2013) ed ecco la definizione:

The act of delivering bad or unpleasant news via email at the very last point in the day, so as to purposely avoid being there when the response is received. Usually deployed just after 5pm or before going away on holiday.
Person 1 – “I really don’t want to have to deal with this”
Person 2 -“Why don’t you just do a send and run?”
Person 1 “I can’t, they gave me a blackberry”

Colpisce in questo caso l’inserimento in data tanto recente, nel dizionario nato nel 1999, di un’espressione legata all’uso della comunicazione per email.
L’occasionalità tipica dell’organizzazione di Urban Dictionary giustifica la registrazione “tardiva” di tale forma, che appare evidentemente legata all’impiego dell’email in un’attività da tavolo, presumibilmente da ufficio; una modalità evidentemente antiquata rispetto allo stato attuale della connessione continua.

Del resto il dialoghino riportato richiama tale inadeguatezza dell’espressione rispetto ai nuovi standard dell’interazione attraverso scrittura digitale, il che è da considerarsi un elemento rilevante per la riflessione relativa all’estrema rapidità con cui la lingua si modifica, più che mai in questa età di internet.

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Dalla passione all'impegno: RT (Che carattere!)

uccelliesotici

Caratteristica di Twitter è l’ambiente rumoroso.
L’immagine degli uccellini cinguettanti rende molto bene il concetto dello spazio affollato e chiacchierino dove ci si incontra per caso o per volontà. O meglio, immaginandoci quali componenti di una infinita biblioteca, ci si consulta (frequenta) per nome (@) o per soggetto (#).

Un labirinto borgesiano (anche l’idea della biblioteca è da Borges), o una interminabile scala di Escher, secondo una bell’accostamento proposto da Pierluigi Vaccaneo (Fondazione Cesare Pavese, twitteratura), dove salire e scendere sono azioni opposte ed identiche, complementari nell’interminato moto dell’andare.
Una specie di ecosistema che si regge sulla cooperazione e sull’intervento attivo.

Lo statuto di follower comporta speciali diritti e anche doveri.
Ricevere il twit è diritto (una prelazione), ma anche dovere, della lettura.

Vi sono poi ulteriori opzioni.
Aggiungere tra i Preferiti (l’inglese sintetizza con “to prefer”) – ne ho parlato – equivale a dare un riscontro, di fatto tenendo la notizia per sé: un’attestazione di merito ma poco produttiva.

Gesto più marcato di approvazione è certamente il Retwit, in sigla “RT”.
Seguendo il paragone con Facebook, ritwittare è dire “Mi Piace” e “Condividi” allo stesso tempo: bella dichiarazione.

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#scritturebrevi e il dolce canto delle sirene (dedicato a Luisa Carrada)

La distrazione del navigare in rete come occasione di arricchimento è oggetto del post di Luisa Carrada ed eccolo.

Concordo con lei che l’esperienza di stare connessi mentre si scrive sia all’origine di un pesante rallentamento del lavoro di scrittura, una visibile perdita di controllo della nostra capacità di concentrazione, dovuta all’improvviso comparire alla nostra attenzione di una notizia, in forma di titolo, di immagine o di link.

Si tratta, come si vede, di forme di “scritture brevi” che improvvisamente catturano il nostro sguardo, ci agganciano e tele-trasportano più o meno lontano dai sentieri della diretta trasmissione, ci conducono in altre vie, facendoci viaggiare oltre e in profondità, in altre dimensioni.
Un modo peculiare di controllare lo svolgimento dei fatti, al quale ormai è abbastanza difficile rinunciare.

Scrivere al pc comporta oggi per molti l’essere connessi al web.
Il browser ha opportunamente predisposto per noi la visualizzazione in parallelo, sinottica, delle finestre, così che contemporaneamente abbiamo sott’occhio i nostri account di posta elettronica, i social network, spesso le pagine dei quotidiani on line, ricevendo notifiche o notizie in tempo reale e, conseguentemente, predisponendoci all’approfondimento e alla distrazione.
Non c’è obbligo, ma è difficile sottrarsi al richiamo.

Sarà bene? Sarà male?
Molto dipende dagli utenti, dalle diverse professionalità, dai temperamenti, e anche dai momenti e dai luoghi.

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On GIF and all that jazz (by scritture brevi)

The recent considerations on the pronunciation of the word GIF in English (“g” as plosive or affricate) calls our attention as Scritture Brevi because of the peculiar relationship between writing and pronunciation, notably in the case of acronyms.

The phonetics of acronyms isn’t submitted to a predetermined rule, which is not a surprise for English, since speakers are used to a discrepancy between writing and sounds, but it may be a puzzling way for Italian.

Some acronyms are treated as “words” and accordingly managed in pronunciation (ex. vip ['vip]), some others always remain a kind of “sequence of letters” (ex. tv [ti'vi]).

On purpose I’m using as examples two words which are common to English and Italian, to show that we are dealing with a general and shared question.

Our interest is to point out that the starting point here is the written form, whereas pronunciation is a consequence of it.

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1, 2, 3, stella! Preferiti (Che carattere!)

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Apporre la stellina e ritwittare sono due operazioni spesso abbinate in modo spontaneo da parte degli utenti di Twitter (io tendo a farlo).

Ma in molti casi non si verifica l’automatismo: osservo a volte la pratica di mettere tra i “Preferiti”, senza ritwittare.
Procedimento forse più corretto formalmente, del resto perché sennò esisterebbero tali due categorie distinte di “scritture brevi”?
Ad esempio, in Facebook “Mi Piace” e “Condividi” hanno proprio diverse occasioni di utilizzo, non risultano per nulla confondibili.

In Twitter la stellina è un riscontro, in tal senso paragonabile al “Mi Piace” di FB.
Chi scrive riceve così un attestato di consenso o, se non altro, di “solidarietà” dai lettori, particolarmente se appartenenti alla propria cerchia.

Diversamente dal “Mi Piace”, però, caratteristica della stellina è di restare all’attenzione dell’autore che la riceve, non è immediatamente percepibile agli altri, crea dunque una sorta di “comunione” interna e privata.
La stellina colloca i contenuti in una lista, è come un segnalibro personale.

Questa modalità si trova in linea con lo stile di Twitter rispetto a Facebook.
Un mezzo solo apparentemente democratico, come tra l’altro si dimostra dalla diversa terminologia per definire i contatti, “followers” contro “friends”.

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Di accenti e altre battaglie

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A proposito della questione dell’uso del “sé” accentato in italiano, vorrei partire da una replica di Stefano Bartezzaghi (cit. "per quanto pratichi il dubbio sistematico preferisco non confondere il con il se) alla Crusca per riprendere la piccola riflessione iniziata ieri sulla nostra quotidiana battaglia col correttore ortografico degli smartphone, soprattutto con sistema touch.

Come dicevo, resta impressionante la capacità del correttore di “indovinare” le nostre intenzioni, a partire a volte da sequenze grafiche formalmente lontanissime dalla corrispondenza voluta, evidentemente grazie all’uso di un repertorio memorizzato, personalizzato persino, delle forme, ma anche a partire da alcune ricorrenti collocazioni (ad esempio la lettera “c” con l’aggiunta dell’apostrofo seleziona immediatamente l’esito “c’è”).

Ma è senz’altro vero che il servizio predittivo dello smartphone manifesta molte volte troppa solerzia e eccesso di zelo, propinandoci esiti non voluti sulla base di meccanismi vincolati e rigidi: compaiono automaticamente consonanti dopo il punto, ma non sempre le vogliamo; in alcuni servizi la punteggiatura immediatamente disponibile non va oltre il punto e la virgola; le parole che prevedono varianti accentate escono direttamente senza accento. E, sulla stessa scia, si è diffuso il “pò” con l’accento al posto dell’apostrofo.

C’è – paradossale – il caso dell’iPhone (ditemi se vale per altri) che, per i verbi, tende a selezionare di default la forma al passato remoto (non “parlo” ma parlò”: ma perché??), fatto stravagante a dir poco, dal momento che il tempo verbale in questione risulta abbastanza in recessione, almeno in alcune varietà diatopiche dell’italiano, e comunque di certo è poco frequente nella messaggistica rispetto al tempo presente.

Della impervia strada del “sé” e di altre parole accentate nella storia del texting andrà citato ilcosto superiore del carattere accentato rispetto a quello senza accento, fattore non irrilevante particolarmente nella prima epoca della messaggistica via telefono mobile, quando il messaggino si pagava e l’utente, in particolare il giovane (perennemente “senza credito”), controllava con cura che il numero dei caratteri non superasse i fatidici 160, per non pagare doppio.
Questo ha generato certa tendenza alla sciatteria grafica che ha in qualche modo influenzato la scrittura dell’era 2.0.
Ricordiamo anche che l’hashtag di Twitter non distingue la lettera accentata da quella senza accento, e ricordiamo che l’account di posta elettronica non ammette apostrofi o accenti (mi dicono che anche ruzzle non distingue e, già che sto citando Bartezzaghi, cognome della mia mitologia, l’enigmistica ci abitua in molti giochi all’uso indifferente della lettera di base per rappresentare anche la propria omologa accentata).

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Ma quanto mi ami? #lamoreaitempideltwitter

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Segnalo la notizia di una nuova app “CrashAlert” che ci avvisa della presenza di un ostacolo mentre siamo intenti a messaggiare.

Si sa che oramai trascorriamo molto tempo con il capo chino sul dispositivo mobile e l’introduzione di una app del genere può facilmente destare scalpore (o anche scandalo), ma sicuramente risulta concepibile per i cosiddetti addicted della pratica del texting con dispositivo mobile.

Le tastiere touch hanno fatalmente – almeno questa è la mia esperienza – “rallentato” la pratica consueta, vuoi per la dimensione dei dispositivi, vuoi per la difficoltosa visualizzazione con schermo retroilluminato, vuoi per la problematica questione di impegnare una sola mano nell’opera di reggere il telefono e di scrivere (risultato è che spesso entrambe le mani risultano impegnate).

La massima difficoltà ritengo sia infine costituita dall’attenzione necessaria a sfuggire a certe invadenze del correttore automatico, spesso fondamentale nel ricostruire il nostro testo (ma come fa, poi), ma spesso altrettanto capace di rifilarci soluzioni improbabili. Coloro che combattono con lo “Sto arrivando!” prodotto da un innocuo “sa” possono capire…

Del resto l’irruente ritmo imposto dalla comunicazione attraverso la messaggistica istantanea determina un’imperativa urgenza dell’azione di scrivere o rispondere.
Non tolleriamo e in certi casi non è tollerata una non risposta immediata. Dunque eccoci spesso a camminare a testa bassa col rischio di urtare ostacoli, mentre ci muoviamo messaggiando.

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