Sosteneva Tabucchi che oltre al latino, l’unica lingua adatta a scrivere un Requiem è il portoghese. Perché il portoghese, per lui, era un luogo di affetto e riflessione. Forse per questo ci è morto il 25 marzo di un anno fa, a Lisbona, dopo averne portato un pezzetto in Italia. E devo solo a lui se un giorno, per conoscere la sua Lisbona, ho deciso di scoprire chi erano Pessoa e Saramago.
Sosteneva Tabucchi che i sogni non si devono raccontare, che è un po’ come dare l’anima. Però ha fatto sognare Dedalo, e l’ha fatto vagare per tutta la notte in un labirinto. Ha fatto sognare anche Majakovskij, legato alle sue saponette anche durante il sonno, o Tolouse-Lautrec, facendolo ballare con le sue gambe lunghe nuove di zecca.
Sosteneva Tabucchi che uno scrittore non potesse che essere impegnato, e che per farlo dovesse entrare nei panni delle persone che descriveva. Sosteneva Tabucchi: “Il mio «impegno» consiste nell’esplorare le diversità rispetto a me stesso, nell’indagare la realtà con gli occhi altrui.”
Per questo, sosteneva Tabucchi, non si può restare in silenzio quando il proprio paese va allo sfascio. Si deve gridare ad alta voce tutto quello che non va. Si deve scrivere una lettera aperta al Presidente Ciampi per ricordare quanto sia importante, in una nazione libera, distaccarsi dagli ideali delle dittature o per dirgli che, in fondo, l’Italia la si criticaperché le si vuole bene, nonostante le sue contraddizioni. E che, anzi, molto bisognerebbe fare per cambiarla.