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È di oggi uno splendido articolo a firma di Stefano Bartezzaghi apparso sul cartaceo di Repubblica e riportato da alcuni siti (Il Post, ad esempio), dal battagliero titolo: In difesa del latino a scuola. Si tratta di un articolo scritto in risposta all’accorata lettera di un padre disperato per l’amore di suo figlio verso una lingua inutile e “morta come la nostra classe politica”: il latino. Quella materia di cui - ahimé - ero a mia volta innamorata quando ero sui banchi di scuola. E non solo perché le traduzioni per me erano come parole crociate - un gioco di incastri, di trasposizioni di stati d’animo da collocare nel giusto modo e al giusto posto - ma perché è grazie al mondo latino (e a quello greco, non dimentichiamolo) che siamo quel che siamo. All’autore di quella lettera basterebbe darsi un’occhiata attorno per vedere quanto poco morto sia quel mondo. Ed è sufficiente che apra bocca - o scriva, che è lo stesso - per concretizzare la vitalità di quella lingua, che è sempre lì, si è solo trasformata.

Pur comprendendo la preoccupazione di un genitore per le sorti del figlio, condivido in pieno un semplice assunto di Bartezzaghi che spiazza in un lampo tutti i supporters di questa o quella materia all’interno dei programmi scolastici:

Ma quello che rende volgare (in senso tecnico) la contrapposta opinione del padre [...] è proprio la concezione delle materie scolastiche come strumenti utilitari, un'attrezzeria tecnica che a scuola ci viene consegnata perché «ci servirà» nella vita. [...] L'idea di quantificarne l'utilità è gemella all'idea di depurare i bilanci pubblici dagli investimenti per la cultura e dal sostegno a tutte quelle attività che l'economo considera improduttive e «senza ritorno». [...]

Un giorno un commissario leggerà i programmi scolastici con un paio di affilate forbici: quella sera a essere fatto a coriandoli non sarà il solo latino. La storia, non è forse "morta" per sua stessa definizione? E la filosofia? E a cosa serve la matematica, a un futuro avvocato o ortopedico? A cosa servono le lezioni di inglese, quando si sa che l'inglese lo si impara solo sul posto? La verità è che la scuola è utile né inutile: è a-utile[...].

Tornando indietro nel tempo, e scartabellando l’archivio telematico di Repubblica, ho trovato però un’altra lettera che ricordo piuttosto bene, perché mi colpì molto quando uscì. Una lettera datata 18 febbraio 2011, scritta da un’insegnante precaria che, di fronte a scarse prospettive di stabilità e a un sempre più (italico) diffuso sentimento di derisione verso gli educatori, diceva:

Togliete queste materie dalla scuola, eviterete di far perdere tempo a quei pochi che passano i loro pomeriggi a spaccarsi la schiena su versioni, poesie e filosofi anziché fare altro di più divertente. Io non me la sento più di dire ai miei studenti di sacrificare ore di studio per il latino. L’ho fatto io, non fatelo voi ragazzi. Altrimenti farete la mia fine. Vi ritrovereste con un pugno d’aria, di parole che ormai oggi non hanno più senso per nessuno.

E aggiungeva, poco sotto:

Non dovete imparare a usare il cervello, perché vivrete male, sempre critici verso tutto, poco furbi, poco scaltri, poco sfrontati, sempre onesti, sempre fessi e sempre più soli. Come mi sento io. Onesta e fessa, e sola.

È una frase evidentemente retorica: da sfumare, contestualizzare, leggere come una provocazione, pronunciata più per esasperazione che per reale convinzione (provateci voi, a fare gli insegnanti: pagati meno di qualsiasi collega europeo, denigrati e costretti a lavorare in strutture spesso ai limiti della decenza...). Detto ciò, mi auguro che il sentimento che emerge da quella lettera non sia entrato e non entri mai in classe. I ragazzi hanno bisogno di persone che insegnino loro il valore delle parole e li facciano crescere come esseri umani, con buona pace del genitore nemico del latino, che si lamenta delle responsabilità di una classe politica gretta da cui però ha mutuato lo stesso linguaggio e la stessa aggressività verbale (come nota Bartezzaghi).

Scriveva la prof, ancora:

Cosa volete che insegni ai ragazzi? Ditemelo, io non lo so più.

L’insegnamento dei miei professori negli anni è stato questo: la cultura e lo spirito critico sono fondamentali. Ho incontrato sulla mia strada persone che sono riuscite dove io ho fallito, dimostrando capacità che col merito hanno ben poco a che fare. Ogni volta mi arrabbio, ne soffro, ma non per questo credo che se non avessi studiato sarei riuscita ad essere scaltra come loro. O arrivista, o disonesta. Questione di indole, più che di istruzione.

Quindi, siccome sarei stata un’ingenua ignorante, a questo punto - mi perdonerete - mi accontento di essere un’ingenua istruita. E innamorata del latino.

Questo, prof, dovrebbe insegnare ai suoi ragazzi.

Veronica Adriani - http://callmeleuconoe.wordpress.com

 

(A proposito, se ve lo siete chiesti, l'immagine che compare nel post è tratta dalla stravagante lezione di latino del Brian di Nazareth dei Monty Python :) ).