Sono qui, ubriaco come al solito e come al solito, sempre nello stesso luogo. Cammino per queste luride stradine, vicoli senza fine di un quartiere di borgata, con la mia fedele compagna per le mani, sempre pronta a sorridermi diabolicamente. Che baci strazianti che mi dà, così dolci, così pieni di veleno; mi ucciderà lo so…ma non posso farne a meno. Mentre giro mi appoggio un po’ su una panchina, sporca, logora, marcia, come il resto di questo schifo di città. Il cielo è ancora scuro, ma qualche fiotto di luce rosata, ruscellante all’orizzonte, comincia ad apparire; dei gabbiani volando sopra la mia testa e il vento profumando l’aria,  un nuovo giorno: che senso di libertà e speranza! Ma la notte non è ancora finita del tutto, c’è ancora tempo, tempo per peccare, per mentire,  per vendersi l’anima, per commettere un ultimo omicidio! La redenzione può aspettare…

Afferro la mia compagna e la strangolo, la strangolo fino a strozzarla, fino a farmi dolere le mani, fino a soffocarmi col suo menzognero bacio…me ne vado, lasciando il suo corpo svuotato sul marciapiede della strada.

Con lo sguardo,  fisso verso il vuoto, cammino con un andatura piuttosto veloce, sicuro di me, sicuro di quello che sto per fare, ho appena ucciso me stesso, uccidere lei non avrebbe lo stesso effetto ma  una soddisfazione decisamente  più appagante. Non ho mai avuto il coraggio di baciarla, di guardarla di sfiorarla, mai avuto un senso di superbia di fronte a lei, ma solo un angosciosa sofferenza, non l’avrei mai posseduta. Ma questa notte sapevo che era una notte diversa, questa notte io non mi sarei accontentato del solo corpo, oh no, sarebbe troppo poco per me! Io avrei preteso la sua anima, soffrirà dieci volte quello che ho sofferto io, lo giuro, chiamo a testimone Dio e i suoi discepoli, che possano bruciare all’inferno! Lucifero è l’unico che mi può capire, in fondo anche lui amò di un amore passionale, di un amore folle e per quell’amore che Dio gli negò, immolò le anime degli angeli più belli del cerchio celeste, una guerra terribile e sanguigna, tutto al solo scopo di abbeverare con la vendetta la propria anima.

Giungo finalmente sulla soglia, l’altare del mio sacrificio, busso, mi vede, mi fa entrare. Ah che errore! Fidarsi così di qualcuno che non si conosce fino in fondo alla propria anima! Meglio, ne trarrò profitto…

Mi fa accomodare nella sua stanza, povera schiocca arrogante, sembra quasi una bambina. Una dolce bambina indifesa di fronte al suo boia, al sua carnefice, non vedo l’ora di vederla supplicare in ginocchio.

La prendo e la getto con forza sul letto, la possiedo con tutto me stesso. Una pelle così liscia e morbida, un tal vino con lo stesso profumo inebriante non esiste al mondo, non come i suoi capelli, ricci, morbidi che farebbero eccitare un morto nella sua tomba. Le sue labbra carnose e suadenti, le sue mani grandi ma fredde, i suoi occhi: incomparabili! Se il possente Crono fu scaraventato da Zeus nel profondo Tartaro, io fui certo scaraventato nelle profondità abissali dei suoi occhi, pieni di orgoglio, arroganza, dolcezza, superbia e delicatezza. Un misto delirante e sconvolgente, troppo, la mia anima non può perdersi così oltre. Occhi indagatori, penetrano nel mio cuore, sondano la mia anima alla ricerca dei più macabri segreti e giudicano!

E mentre la possiedo i suoi occhi, i suoi tristi occhi ridono di me!

Si applica con tenacia nel dimostrare il suo finto godimento, geme come un’ipocrita puttana con un suo cliente abituale, ma i suoi occhi , i suoi tristi occhi!

Posso vedere tutta la sua finzione, la falsa gioia, il falso amore.

Ed è per questo che non riesco a distogliere il mio sguardo dai suoi occhi, io la vedo ma lei non riesce ancora a vedere me!

Il lento sussultare del letto aumenta i suoi battiti, i suo gemiti aumentare d’intensità, il mio corpo sopra il suo aumentare  di vigore e finalmente  sul culmine del mio piacere, un fulmine mi attraversa la mente, i suoi occhi! I suoi occhi li odio di un odio implacabile!

Afferro dalla tasca della mia giacca il mio coltello e con un solo colpo, preciso e senza esitazioni, do il mio affondo! E devo ammetterlo,  mentre gridava e si dimenava come una cagna ne trassi una piacevole e sottile soddisfazione, il mio sorrisetto malignamente troneggiava sul mio volto. E più gridava più colpi affondavo! Ora sul seno ora sul petto e la pancia e scendevo e continuavo a scendere finche il letto non fu un enorme bagno di sangue e con quel sangue io mi nutrivo. Nulla era più diabolico e maledettamente  soddisfacente, che nutrirsi della vita stessa della donna che la vita ti aveva consumato, maledicendoti e scaraventandoti in un abisso di infinita agonia. Fui bene attento però a non danneggiare l’altro occhio, li odiavo è vero, ma per un motivo che ignoravo, sapevano scrutarmi dentro come nessun altro occhio avesse mai fatto. Per questo non ebbi il coraggio di distruggerli entrambi, uno di essi avrei dovuto portarlo sempre con me. Feci un lavoro certosino e minuzioso, non volevo danneggiarlo, era sacro per me, una reliquia antica, le ultime vestigia della donna che un tempo fu…la mia amata.

Ma la fatica era troppa, l’odore del sangue nauseabondo, il wiskey tornava imperante ad annebbiarmi la mente; caddi e persi i sensi.

Mi svegliai di soprassalto, il respiro affannoso, mi girai intorno, ero nella mia stanza, ero nel mio letto, ero nella mia casa. Di fianco, i suoi capelli ricci e il suo inconfondibile odore. Tirai un sospiro di sollievo rasserenato dal fatto che fu solo un incubo. E’ vero, avevo avuto i miei contrasti con lei, ma in fondo l’amavo e quelle visioni non furono altro che il frutto di troppo buon vecchio wiskey.

Mi preparai per andare a lavoro, feci molta cura a non svegliarla vestendomi con estrema cautela, non lo so ma forse mi sentivo in colpa. Era così dolce, dormiva così serenamente che non ebbi il coraggio di svegliarla.

Misi addosso la mia giacca e fui pronto per uscire di casa, quando un terrore acuto mi paralizzò completamente gli arti. Restai senza fiato, non riuscivo a respirare, lungo i muri della stanza, il battito del mio cuore sempre più forte, era l’unica cosa udibile, come un tamburo. La mia mano infilata nella tasca della giacca afferrò qualcosa…la tirai fuori…molto lentamente…lo vidi! Era lui! Era il suo triste occhio.